Acqua e beni comuni nel post referendum

Il servizio idrico resta fuori dal pacchetto privatizzazioni. A colloquio con Antonio De Lellis, che rappresenta la diocesi di Termoli Larino nel Forum italiano dei movimenti per l'acqua
acqua bene comune

Il risultato del referendum sulla privatizzazione del servizio idrico in Italia ha conseguito un primo obiettivo: tra le misure promesse dal governo ai vertici europei è esplicitamente escluso l’affidamento della gestione dell’acqua ai privati. Un paletto fondato sull’esercizio della sovranità popolare che sarà, comunque, difficile da mantenere. Un segnale importante giunge comunque da Napoli, dove l’affidamento di tutto il ciclo dell’acqua è passato dalla società per azioni Arin all’azienda speciale pubblica dal nome eloquente: ABC, che significa Acqua bene comune. Si tratta di un percorso in salita per chi è ora chiamato, in tempi di crisi, a recuperare le risorse finanziarie per gestire gli investimenti necessari in modo trasparente e aperto alla partecipazione dei cittadini, come richiesto dai promotori del referendum. Tra questi troviamo, fin dall’inizio, la presenza della diocesi di Termoli Larino nella persona di Antonio De Lellis, responsabile della pastorale sociale e del lavoro. Cerchiamo di conoscere meglio le radici e le prospettive di questo impegno.

Siete fin dall’inizio nel coordinamento nazionale per l’acqua pubblica, quello cioè che ha proposto il referendum di giugno. Come è nato questo vostro impegno?

«Nel novembre del 2005 la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Termoli-Larino decise di mettere in pratica la traccia di riflessione per il convegno ecclesiale di Verona che ci sarebbe stato nell’autunno del 2006. Nell’ambito della "cittadinanza" la traccia chiedeva di superare le contrapposizioni ideologiche in vista dei beni comuni e di individuare un tema. Invitammo così in curia tutti i movimenti ecclesiali e sociali, e nello scambio di esperienze nacque l’idea di impegnarci su un tema quale il diritto all’acqua bene comune. Partecipammo così agli incontri preparatori del primo forum dei movimenti per l’acqua svoltosi a Roma nel marzo del 2006, e in quell’occasione ci presentammo esplicitamente con le motivazioni cristiane per un tale impegno».

Come siete stati accolti e quali ostacoli avete dovuto superare ?

«Fummo accolti con sorpresa ed un poco di indifferenza, ma aderimmo ufficialmente anche con un contributo in denaro e con un impegno costante che non abbiamo mai abbandonato, sia con l’appello ai sindaci del Molise (che fermò, di fatto, la privatizzazione), per poi proseguire con la legge di iniziativa popolare del 2007, ed infine con i referendum. Gli ostacoli non sono mancati. All’interno del mondo ecclesiale qualcuno ci ha considerato progressisti, senza rispetto per l’ortodossia e troppo spostati su posizioni che nulla avevano a che fare con i "valori non negoziabili". Addirittura ci telefonarono da una diocesi, accusandoci di esserci permessi di “fare i comunisti”. All’esterno, ed anche all’interno del Forum, gli ostacoli furono quelli della diffidenza. Si chiedevano in sostanza perché ci occupassimo, in quanto Chiesa, anche di quelle cose. Ma il tema e la dottrina sociale della Chiesa parlavano chiaro: acqua diritto umano universale e gestito primariamente dal pubblico, e anche quando parte del servizio viene affidato al privato deve essere garantito il diritto all’accesso. Ma la globalizzazione e l’oligopolio creatosi in Italia mettevano a rischio tale diritto. Il tema, paradigmatico di un sistema in cui il mercato ed il profitto sono veri idoli, si prestava bene come iniziale e concreta messa in discussione del "sistema liberista" che, nella sua declinazione individualista, diventava sempre più ingiusto soprattutto verso gli ultimi. L’acqua è vita e la vita non può essere privatizzata, così come non possono essere privatizzati i processi vitali quale la vita di un embrione umano anche se a decidere è la madre, perché la vita che porta in grembo è di tutti. In questa linea naturalmente l’impegno dei missionari, tra cui ricordo in particolare Alex Zanotelli, ci è stato di ispirazione e stimolo costante».

 

Quali esperienze di collaborazione e condivisione esistono tra le diocesi italiane su questo tema?

«La prima collaborazione si è avviata tra la pastorale sociale e del lavoro, i vicari, don Silvio Piccoli, mio instancabile compagno di viaggio, e mons. Nicola Pietrantonio. Poi i vescovi che si sono succeduti in diocesi, da Tommaso Valentinetti a Gianfranco De Luca, fino ad arrivare a tutti i vescovi molisani, Bregantini, Scotti e Visco. Di recente è nata una bella collaborazione con la rete interdiocesana dei nuovi stili di vita a cui fanno capo circa 50 realtà diocesane, in particolare con Padre Adriano Sella e Simone Morandini. Tra i movimenti ecclesiali, Pax Christi ci ha sempre sostenuto con passione e coraggio, in particolare Francesca Delfino e don Nandino Capovilla. La Conferenza episcopale ci ha aiutato quando, nel 2007, nella giornata del creato decise di investire sul tema dell’acqua. In occasione del referendum, infine, un grande aiuto ci è stato dato dal Consiglio pontificio giustizia e pace nella persona di mons. Toso e dal segretario della Cei mons.Crociata. Se la Cei ha avuto sempre un atteggiamento prudente, il popolo delle parrocchie e dei preti di frontiera hanno svolto un gran lavoro di collaborazione con movimenti sociali locali perché il tema era, di fatto, entrato nel cuore di tanti cristiani. Ed in questo stile ecumenico, anche la collaborazione con la Federazione delle Chiese evangeliche è stata fondamentale».

Venendo da storie e percorsi culturali diversi come state cercando di dialogare senza cedere alla tentazione di demonizzare l’avversario? Su quale base comune riuscite a lavorare ?

«Facciamo nostra la massima del beato Papa Giovanni XXIII, secondo cui “se vai per strada ed incontri qualcuno non chiedergli da dove viene, ma dove va e, se va nella stessa direzione, cammina insieme con lui”. Il metodo del consenso e della democrazia partecipata, tipici dei movimenti, assume spesso accenti aspri, ma cerchiamo di conciliare le parti ed alzare lo sguardo. I nostri amici sanno guardare bene a terra, ma in una notte buia, in montagna, non basta solo il segnale del sentiero, occorre volgere lo sguardo verso le stelle per orientarsi. Esiste nei movimenti sociali una prassi avanzatissima, ma come cristiani abbiamo anche un magistero straordinario che attende di essere applicato. A volte siamo noi a fissare dei principi chiari con molta forza, perché le logiche di potere sono sempre in agguato e cerchiamo di ribadire come solo lo spirito di servizio educhi al bene comune. Abbiamo comunque la stessa visione del mondo, solo che noi lo chiamiamo quel pezzo di regno di Dio che già ora in questa terra siamo chiamati a costruire».

Come sta continuando l’impegno dopo la vittoria del referendum? Quali strategie state adottando per contrastare la privatizzazione dei servizi idrici in altri modi, considerando che avete poco spazio sulla stampa ?

«Lo storico risultato referendario non ci consente di stare tranquilli, perché i poteri prevalenti sono sempre in agguato e cercano continuamente di eludere il verdetto del referendum. Quindi a livello territoriale cerchiamo di svolgere una funzione di presidio permanente. Cerchiamo, così, di ostacolare le proroghe delle convenzioni del servizio idrico tra municipi e società private a scopo di lucro. Attiviamo una campagna sulle tariffe che dovranno essere ridotte proprie di quella parte corrispondente alla remunerazione del capitale investito. Forte è, infine, la dedizione nella proposta di leggi regionali che vadano verso una gestione pubblica e partecipata del servizio idrico integrato. A partire dalla condivisione di questi percorsi sui beni comuni, avvertiamo l’esigenza di una nuova sensibilità da poter offrire come Chiesa per far maturare una coscienza capace di arrivare ad un nuovo tessuto civile per una costituzione politica mondiale che sia in grado di riscrivere la democrazia attraverso i beni comuni».


Non avete timore di essere strumentalizzati per fini politici ? E quale è il senso profondo del vostro impegno ?

«Servi di tutti, ma liberi da tutti: con questo motto di san Paolo cerchiamo di andare avanti in questa bella esperienza fatta di persone stupende. Il timore di strumentalizzazioni per fini politici è più che fondato, ma i partiti in questo momento non capiscono questo modo nuovo di fare politica, perché troppo presi da logiche di casta. Essi sono molto legati ai poteri forti e questo ci obbliga ad un rapporto distante, critico, reciproco e bilanciato tra società civile e potere politico. Il senso profondo del nostro impegno non è quello di sostituirci ai poteri politici, ma di riformarli perché si occupino sempre più di sviluppo integrale della famiglia umana. Pace, diritti, giustizia, salvaguardia del creato e beni comuni quali la conoscenza, la salute e il lavoro, sempre più devono diventare il centro dell’interesse dei credenti perché la verità sulla persona va cercata insieme dentro e fuori dai recinti che possono essere eretti. Con un atteggiamento umile, quindi, e con spirito di collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Siamo testimoni che un nuovo mondo sta nascendo e la storia dei movimenti sociali non violenti e delle encicliche sociali e di tutto il magistero vanno nella stessa direzione. Perché i cattolici devono restarne fuori? Perché non adottare lo stile della compagnia e considerarsi tenda di Dio pronta ad essere sempre smontata per proseguire i cammini autentici dell’umanità?».

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons