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I coloni israeliani attaccano il loro stesso esercito: cosa sta accadendo in Cisgiordania?

di Bruno Cantamessa

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Messa in apparente stand-by la “Guerra dei 12 giorni” di Israele contro l’Iran, dopo i bombardamenti Usa dei siti nucleari iraniani, in Medio Oriente i riflettori dei media internazionali sono tornati a concentrarsi sul dramma di Gaza, ma non solo. In questi giorni sta infatti succedendo qualcosa di non facile comprensione anche in Cisgiordania.

Escavatori dell’esercito israeliano demoliscono edifici palestinesi vicino alla città di Jenin, in Cisgiordania, 1° luglio 2025. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, le forze israeliane hanno continuato la loro operazione militare per il 161° giorno consecutivo. Ansa, EPA/ALAA BADARNEH

C’è un realtà politica, finora poco conosciuta all’estero, che si affianca ai continui attacchi di coloni ebrei, sostenuti dall’Idf, l’esercito israeliano, contro civili palestinesi residenti nella West Bank, i “territori” palestinesi occupati da Israele da quasi 60 anni, dove i coloni israeliani (illegali secondo il Diritto internazionale) sono ormai 800 mila.

Nella settimana tra il 23 e il 29 giugno, si sono susseguiti attacchi di coloni contro villaggi della zona centrale della Cisgiordania, a nordest di Gerusalemme, non lontano da Ramallah, in quella che l’esercito israeliano definisce Binyamin Region.

Soldati israeliani controllano gli abitanti palestinesi costretti a lasciare le loro case con pochi averi durante un’operazione militare israeliana vicino alla città di Tulkarem in Cisgiordania, 2 luglio 2025. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, le forze israeliane hanno continuato la loro operazione militare nella città di Tulkarem e nel suo campo profughi, demolendo decine di edifici residenziali. Ansa EPA/ALAA BADARNEH

A Taybeh, piccolo villaggio palestinese cristiano (1.500 abitanti: cattolici latini, greco-ortodossi e greco-cattolici melchiti), il parroco della chiesa del Cristo Redentore, padre Bashar Fawadleh, racconta ad asianews.it (26 giugno 2025): «Viviamo sotto il fuoco costante dei coloni, e sotto il tiro incrociato delle armi dell’esercito di occupazione israeliano». Un assalto, aggiunge, che è «coinciso con l’attacco di decine di coloni al villaggio di Kafr Malik, che si trova vicino a noi, e che ha portato alla morte di tre martiri e all’incendio di molti veicoli e case». Una escalation di violenze, prosegue padre Fawadleh, che è «iniziata prima del 7 ottobre [2023] ed è poi proseguita per tutto questo tempo».

Per avere un’idea di quello che sta accadendo in Cisgiordania è rivelatore un articolo di Jeremy Sharon pubblicato qualche tempo fa (22 gennaio 2024) da timesofisrael.com (quotidiano online multilingue israeliano di orientamento centrista, molto letto anche nella diaspora: oltre 9 milioni di utenti unici ogni mese e 35 milioni di visualizzazioni di pagine mensili).

Scriveva infatti l’articolista di Times of Israel: l’organizzazione israeliana Yesh Din (una Ong di cui fanno parte cittadini israeliani sia ebrei che arabi) «afferma che uno studio sulle indagini della polizia israeliana sulla violenza commessa dagli israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania mostra che dal 2005 a settembre 2023, circa il 94% delle indagini [1.664 pratiche] si sono chiuse senza un’incriminazione e solo il 3% si è concluso con una condanna».

Ma cosa è successo realmente a Kafr Malik? Perché sembra che la faccenda sia più complicata dell’ennesimo attacco di coloni ebrei sostenuti dall’Idf? Ne parla il rabbino Menachem Ben-Shachar intervistato da israelnationalnews.com: ci sarebbe stato un episodio ulteriore e successivo rispetto all’attacco al villaggio palestinese ad opera di un centinaio di coloni.

I problemi sarebbero sorti a causa dell’intervento, venerdì 27 giugno, di un contingente dell’Idf che avrebbe provveduto a sloggiare alcuni coloni israeliani che si erano insediati costruendo abusivamente una fattoria su una collina non lontano da Kafr Malik. Il rabbino (il cui figlio era fra i coloni allontanati) ha protestato indignato, dicendo: «I soldati non dovrebbero presentarsi armati per affrontare cittadini ebrei. Ci sono molti modi per gestire le costruzioni abusive senza ricorrere alle armi». Un ragazzo 14enne israeliano sarebbe stato infatti ferito da un proiettile sparato dai militari.

Un’escavatrice israeliana distrugge palazzi dei palestinesi vicino alla città di Jenin in Cisgiordania, 1° luglio 2025. Foto Ansa EPA/ALAA BADARNEH

Ne è venuta fuori una violenta protesta di indignati coloni di fronte al Quartier Generale delle Forze di Difesa della Binyamin Region. Il comandante del contingente è stato accusato di essere un “traditore”. Ci sono stati tentativi di travolgere i militari con le auto, sono state vandalizzate jeep militari, con pneumatici tagliati e lancio di molotov. Domenica 29 giugno, infine, un gruppo più numeroso di coloni ha assaltato una base militare vicino a Ramallah: server bruciati, attezzature e veicoli devastati e ovunque graffiti in ebraico.

L’episodio ha fatto scalpore e provocato prese di posizione dei vertici dell’esercito e addirittura la minacciosa condanna del ministro-colono Ben Gvir, del ministro della Difesa, Katz, e del premier Netanyahu. Perfino il capo dell’opposizione Yair Lapid ha definito i coloni violenti: “terroristi ebrei” e “gang criminali”. Neppure una parola sugli attacchi e sui morti palestinesi dei giorni precedenti, a poca distanza, quelli a cui fa riferimento la testimonianza di padre Fawadleh.

Effettivamente l’attacco di coloni ebrei ai militari e alla polizia, al di là dell’occasione in sé, rappresenta un elemento molto inquietante. 

Michael Mikado Warshawsky, il grande vecchio della sinistra israeliana che nel 1984 fondò un’organizzazione di attivisti antisionisti israeliani e palestinesi, afferma in un’intervista a ilmanifesto.it (citata da M. Giorgio, 1° luglio 2025): «Sono più numerosi che in passato i coloni che vorrebbero un sovrano con diritti straordinari e una monarchia senza elezioni né un’Alta Corte di Giustizia». E aggiunge: «Quanto siano cresciuti numericamente non è facile dirlo, di sicuro oggi hanno amici e sostenitori in parlamento e nel governo. E mentre traggono sostegno, finanziamenti e vantaggi dallo stato di Israele, allo stesso tempo vorrebbero trasformarlo. Per questo prendono di mira anche i soldati: li ritengono strumenti di uno stato che, pur definendosi ebraico, non rispetterebbe, o lo fa solo in parte, l’antica legge ebraica».

Se così fosse, starebbe crescendo una tendenza religiosa ancora più fondamentalista e intransigente, che auspicherebbe per lo Stato ebraico una monarchia assoluta ed un apartheid ancora più rigido e ostile per i non ebrei. Francamente, spero che si trovino insieme le strade giuste per vivere in pace.

 

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