Come i primi cristiani

Col suo ultimo libro Leonardo Luganesi intende far riflettere sulle forme e sui modi della presenza cristiana nel mondo non cristiano di oggi
Leonardo Lugaresi

Del libro mi ha subito attirato il titolo così esplicito sull’argomento in mezzo alla marea di testi sulle problematiche della Chiesa di oggi. L’ho letto due volte e penso non sarà l’ultima. Mi ha conquistato non perché propone ricette inusitate per resistere all’invadente secolarizzazione, ma perché torna a sottolineare in maniera convincente la bontà del “metodo” della Chiesa nascente, suffragato da autorevoli testimoni dei primi secoli. Col conseguente invito, per noi, ad essere i “primi cristiani del XXI secolo”. E servendosi di un linguaggio colloquiale, accessibile a tutti. Non per niente l’autore, Leonardo Lugaresi, non è soltanto uno studioso di storia del cristianesimo, ma è stato un insegnante e educatore sperimentato nell’arte di trasmettere le sue conoscenze. Di qui, la validità e l’attrattiva di un’opera che, riflettendo sul passato, si rivolge al presente in vista del futuro. Quasi un manuale di come dar testimonianza in un mondo non cristiano, s’intitola infatti Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli (Lindau editrice).

«In effetti – conferma l’autore, studioso di storia del cristianesimo antico e di letteratura patristica – questo libro è stato scritto non tanto per gli studiosi e gli specialisti quanto per il “lettore comune”, con l’intento di essere utile alla riflessione e all’impegno dei cristiani di oggi che si interrogano sulle forme e sui modi con cui rendere la propria “bella testimonianza”, come dice la Prima Lettera a Timòteo, davanti al mondo contemporaneo che in tanta parte non è più cristiano, almeno qui in Europa. Del resto, come spiego nelle prime pagine, è nato da un ciclo di incontri molto partecipati, tenuti a Reggio Emilia per una intelligente iniziativa di mons. Massimo Camisasca, allora vescovo di quella diocesi, che ha poi scritto una bella postfazione al libro stesso. Pur avendo un taglio divulgativo, il libro si basa su una mole di studi e di ricerche che ne sostengono l’impianto: lo specialista non vi troverà niente di nuovo rispetto allo stato più recente della ricerca, ma il lettore comune può ragionevolmente fidarsi della solidità dei contenuti che vi trova esposti, anche se in un linguaggio più semplice e adeguato alle sue esigenze. Per quanto mi riguarda personalmente, conosco un certo numero di lettori a cui, per loro espressa dichiarazione, il libro è stato utile. E questa è per me la migliore ricompensa».

Il testo è articolato in due parti: nella prima Lugaresi delinea brevemente la condizione dei cristiani dei primi secoli nel contesto pagano della società imperiale romana e illustra in generale il metodo della loro presenza in quel mondo, spiegando le due categorie fondamentali che lo caratterizzano: la krisis, cioè il giudizio che vaglia e discerne ciò che nella cultura mondana vale e va perciò assunto, da ciò che invece è incompatibile con la fede in Gesù Cristo e deve perciò essere rifiutato; e la chrêsis, cioè il retto uso che restituisce alla loro piena verità i beni acquisiti dal mondo.

«Nella seconda parte – prosegue l’autore – ho cercato di fornire quattro esempi concreti di questo grandioso lavoro culturale compiuto dalla piccola minoranza cristiana dei primi secoli, riferiti rispettivamente al rapporto con il sistema giudiziario, la scuola, l’economia e il mondo degli spettacoli. Per ognuno di questi campi, naturalmente, le condizioni sono molto cambiate da allora ad oggi e quindi in nessun caso si tratta di imitare o trasporre meccanicamente delle modalità di presenza e dei giudizi particolari che oggi sarebbero magari poco pertinenti, bensì di apprendere a far nostro un metodo. Ciò non toglie, peraltro, che pur nella diversità della situazione, anche certe intuizioni particolari e certe prese di posizione possano risultare illuminanti anche per noi oggi. Penso, ad esempio, ad alcuni aspetti del “discorso cristiano sugli spettacoli”, di cui mi sono occupato per molti anni e al quale ho dedicato un altro lavoro, di taglio prettamente scientifico e di ben più ampia mole. Il rifiuto cristiano dei ludi, benché improponibile oggi nei termini di allora, ha delle motivazioni così profonde e geniali che possono servirci moltissimo, a mio avviso, per rapportarci criticamente alla contemporanea “società dello spettacolo”».

Lugaresi non è il solo a dubitare che il mondo di domani sarà ancora meno cristiano rispetto all’attuale. Non ho rilevato però accenti pessimistici nel suo argomentare. Il credente vi troverà anzi conferme e stimoli per il proprio impegno di testimonianza.

Quanto al pessimismo, osserva l’autore, «lo ritengo una tentazione che prende, una volta o l’altra, un po’ tutti noi. Esso, a ben vedere, si radica in una delusione delle aspettative umane: le cose non vanno come noi prevediamo (o pretendiamo) e questo ci mette in crisi. Tuttavia, se si studia la storia della Chiesa essendo convinti che Dio agisce in essa, si vede quanto spesso l’intervento dello Spirito nelle vicende umane sia sorprendente e prenda la forma di una messa in discussione, a volte anche drastica, degli assetti ecclesiastici e dei progetti pastorali. Questo sin dalle origini e fino ai nostri giorni. Ricordiamo, per fare un solo esempio, l’amaro commento di Paolo VI sulle “speranze conciliari“: “Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, d’incertezza”. Questo però ci può educare ad una povertà di spirito che è liberante, e non ha nulla a che fare con la rassegnazione o la passività. La fiducia nella potenza di Dio e nella divina promessa di indefettibilità (non praevalebunt) si concretizza infatti, specialmente oggi, come senso della inizialità del cristianesimo. In un certo senso, che è vero e profondo, il cristianesimo è sempre iniziale, e noi dovremmo sempre sentirci “i primi cristiani”, benché arricchiti dal tesoro immenso di due millenni di tradizione cristiana. Questo non significa affatto che dobbiamo desiderare o compiacerci di essere pochi, perché in “un mondo non più cristiano” sarà sempre più difficile venire a contatto con l’annuncio evangelico, diventare e rimanere cristiani. Significa invece che non bisogna averne paura: il cristianesimo dei Padri, paradossalmente, è un cristianesimo “giovane“, e proprio per questo il suo esempio può essere così utile e affascinante per noi, se ci riconosciamo come figli ed eredi di quella tradizione».

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