A Gaza si muore di fame aspettando il molo statunitense

Il presidente Usa Biden, nel discorso sullo stato dell'Unione, ha annunciato la costruzione di un molo galleggiante per la consegna degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese di Gaza. L’Operazione Amaltea ha preso il via da Cipro su iniziativa dell’Ue, con Usa, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Germania, Grecia, Olanda e Italia.
epa11071257 An injured child receives treatment inside Nasser Hospital in Khan Yunis, southern Gaza Strip, 12 January 2024, following Israeli air strikes in southern Gaza. More than 23,450 Palestinians and at least 1,300 Israelis have been killed, according to the Palestinian Health Ministry and the Israel Defense Forces (IDF), since Hamas militants launched an attack against Israel from the Gaza Strip on 07 October, and the Israeli operations in Gaza and the West Bank which followed it. EPA/HAITHAM IMAD via ANSA

“Adda venì baffone”, si diceva a Napoli alla fine della II Guerra mondiale, ad auspicare l’arrivo di un uomo forte per salvare i napoletani dalla fame e dalla miseria. Meno male che poi non era arrivato, dato che “baffone” era un personaggio poco raccomandabile di sovietica memoria, e cioé Josif Stalin.

Oggi a Rafah, in fondo alla ex Striscia di Gaza, la situazione non è molto diversa dalla Napoli del 1945, in quanto a bombe, fame e miseria. Anzi se possibile è anche peggio. Ma starebbe arrivando un “baffone” all’orizzonte, forse qualcuno potrebbe dire: “Adda venì o’ molo americano”. Si tratta del molo galleggiante promesso nei giorni scorsi dal presidente Usa, Biden, per sbarcare aiuti umanitari a Gaza, visto che gli israeliani quasi non li lasciano entare dall’Egitto, dove ci sono chilometri di camion in attesa: è troppo forte il rischio che in mezzo a latte e biscotti si celino droni e missili per i terroristi. E dato che di genocidi, tregue, ostaggi, prigionieri e perfino di aiuti umanitari non se ne può proprio parlare, altrimenti qualcuno currivùso potrebbe uscirne stizzùto (e non traduco per prudenza), meglio il molo.

Solo che è appena partito dalla Virginia e ci vorranno, pare, da 2 a 6 mesi per attrezzare l’operazione. Vuol dire che nel frattempo si chiederà ai palestinesi di attendere: ne sono già morti per sbaglio o danni collaterali più di 30 mila, qualche mese e qualche morto in più non sarà poi la fine del mondo! Il ragionamento è più o meno questo, nella macabra ironia di una tragedia senza fine.

Nel frattempo, il 12 marzo, è però salpata da Cipro la prima nave con 200 tonnellate di aiuti umanitari (per quasi 2 milioni di persone!) messa a disposizione dalla ong Open Arms: proprio loro, quelli che, come ormai in Italia tutti sappiamo, aiutano i migranti clandestini.

L’iniziativa del corridoio umanitario navale per far giungere aiuti a Gaza l’avrebbe presa l’Unione Europea raccogliendo una proposta di Cipro, affiancando gli Usa con il sostegno di Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Germania, Grecia, Olanda e Italia. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha detto in questi giorni: “La situazione umanitaria a Gaza è disastrosa, con famiglie e bambini palestinesi innocenti alla disperata ricerca di beni di prima necessità”.

Ed ha aggiunto: “La leadership di Cipro è stata fondamentale per consentire questo sforzo congiunto… Insieme, le nostre nazioni intendono basarsi su questo modello per consegnare ulteriori aiuti significativi via mare, lavorando in coordinamento con la coordinatrice senior delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari e la ricostruzione a Gaza, Sigrid Kaag: gli sforzi degli Emirati Arabi Uniti per mobilitare il sostegno all’iniziativa porteranno alla spedizione iniziale di cibo via mare alla popolazione di Gaza”.

E qui subentrano però tre o quattro problemini: dove scaricare gli aiuti senza un porto; chi li distribuirà a chi, dato che non esiste più una polizia palestinese per mantenere la sicurezza, e la rete dell’Unrwa è stata da tempo screditata (e in odore di smantellamento) per connivenza con Hamas di forse 12 dipendenti palestinesi su 13 mila, con blocco dei contributi da parte di 13 Paesi donatori (Usa in testa), dei quali forse tre ci hanno ripensato (ma non gli Usa). A queste non secondarie quisquilie vanno aggiunti il blocco dei visti per gli operatori umanitari e il tuttaltro che scontato via libera da parte del governo israeliano all’operazione.

Intanto, la grancassa dell’apparato di soccorso ha annunciato l’avvio della “iniziativa Amaltea” che porterà aiuti da Larnaca (Cipro) alla popolazione della Striscia di Gaza: obiettivo dichiarato fornire (a regime) 2 milioni di pasti al giorno: o almeno si pensa che forse, se partirà, quando non si sa, così sarà. Intanto c’è la nave di Open Arms che valuta il percorso, mentre il blocco e le bombe continuano la loro azione, pur tra i mugugni di Joe Biden.

Intorno ad Amaltea (nome di una capra mitologica il cui corno divenne per volontà di Zeus la leggendaria cornucopia) si sta addensando una sorta di narrazione salvifica. Forse per ovviare alle non scelte politiche che la situazione interna statunitense in qualche modo sembra imporre. Il Relatore Speciale Onu sul Diritto all’alimentazione, Michael Fakhri, si è permesso di dire che le strade davvero efficaci sarebbero altre, fra l’altro anche un embargo nella vendita di armi a Tel Aviv. Discorsi accademici che lasciano il tempo che trovano. Per adesso “baffone” si chiama Amaltea. “Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (Inf. III 94-96), sciveva Dante Alighieri già nel XIV secolo, a significare quella è la volontà di chi detiene il potere e non serve protestare o lamentarsi.

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