Don Cosimino Fronzuto, inizia la causa di beatificazione

Dopo più di 30 anni dalla morte di questo "pastore con l'odore delle pecore", il 21 gennaio nella Cattedrale di Gaeta avrà inizio il processo di beatificazione di don Cosimino Fronzuto

«Carissimi Fratelli e Sorelle, sono lieto di annunciare a tutti che il 21 gennaio 2024 nella Basilica Cattedrale di Gaeta avrà luogo la prima sessione pubblica del Tribunale che condurrà la fase diocesana dell’Inchiesta sulle virtù e la fama di santità del Servo di Dio don Cosimino Fronzuto (1939-1989) nella speranza condivisa da molti che lo hanno conosciuto e amato, di poterlo indicare come esempio di vita cristiana per tutta la Chiesa.

Fin dal momento della morte del Servo di Dio, è iniziato un movimento di gratitudine e di affetto che ha raccolto non solo i cristiani di Gaeta che hanno fatto esperienza della sua carità pastorale, ma anche di quanti, sparsi in diverse località e regioni del mondo, lo hanno conosciuto e apprezzato, hanno fatto esperienza della sua carità e amicizia sacerdotale».

Così, mons. Luigi Vari, arcivescovo di Gaeta, il 13 dicembre scorso, annunciava alla Arcidiocesi l’inizio ufficiale della causa di beatificazione di don Cosimino Fronzuto, al termine di un lungo percorso preliminare. Per tutti quelli che lo hanno conosciuto, è evidente e resta indelebile quanto si dice nel quinto capitolo della Lumen Gentium (n. 42), quando si parla esplicitamente di pienezza della vita cristiana e di santità in termini di “perfezione della carità”, e si sottolinea che: «La carità, infatti, quale vincolo della perfezione e compimento della legge (cf. Col 3,14; Rom 13,10) regola tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Perciò il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità verso Dio e verso il prossimo».

Tutta la vicenda di don Cosimino Fronzuto si può e si deve leggere a partire da questa prospettiva e, in questo senso, le parole di papa Francesco, nella messa crismale del 28 marzo 2013, circa il compito di coloro che sono chiamati a svolgere il ruolo di pastori nella Chiesa e nella più vasta comunità umana, ben si addicono alla vita e alla testimonianza don Cosimino:

«Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”».

Oggi, a più di 30 anni dalla sua partenza per il cielo, rileggere la vicenda di don Cosimino desta una grande impressione, perché la sua testimonianza emerge, sempre più, come un luminoso esempio di quella figura di “prete del dialogo” che, in un tempo così travagliato per tutta l’umanità e anche per la Chiesa, è quanto mai necessaria e urgente.

Egli, infatti, è stato un prete pienamente inserito nel suo tempo, anzi addirittura in anticipo su di esso. E se ciò è stato dovuto, in origine, certamente ad una grazia speciale e personale dello Spirito, si deve anche alla sua quotidiana, cercata e voluta, corrispondenza ad essa, lo scaturire di tutti quei frutti che la sua spiccata e creativa personalità di cristiano, di prete e di parroco ha sollecitato e fatto emergere in tutta la sua, pur breve, vita.

Una esistenza, la sua, che si è nutrita fin dall’inizio, di una semplice quanto intensa esperienza cristiana vissuta in famiglia, dalla chiamata precoce al sacerdozio e dalla vita in seminario. Eravamo prima del Concilio Vaticano II e dai suoi scritti dell’epoca si coglie come, sin da principio, don Cosimino sia stato preparato dallo Spirito a quell’apertura della Chiesa verso il mondo che il Concilio, di lì a poco, avrebbe sancito.

Stupore, gioia, gratitudine, impegno e dedizione sono gli atteggiamenti con cui egli prontamente si mette alla scuola di Gesù nel Vaticano II. Di qui, ancor prima della sua ordinazione presbiterale, la ricerca personale di quei cambiamenti necessari che la Chiesa avrebbe dovuto mettere in atto. E proprio su questa preparazione remota, appena ordinato, avviene l’incontro travolgente con il carisma dell’unità donato dallo Spirito alla Chiesa e al mondo del nostro tempo attraverso Chiara Lubich.

Un carisma che per don Cosimino si rivela essere, immediatamente e definitivamente, la risposta alla sua lunga ricerca. Soprattutto, gli indica la strada da percorrere perché, una cosa era capire che occorresse cambiare lo stile per sintonizzarlo su quello delle esigenze evangeliche, in quel periodo della storia, un’altra cosa era intuire come fare e avere la sapienza e la forza di farlo.

Da quel momento, la sua avventura umano-divina, prende il volo e, come tutta storia della spiritualità cristiana indica, saranno vette e abissi, morti e resurrezioni, notti oscure e luce abbagliante, oltre a frutti abbondanti in lui e intorno a lui, ma soprattutto la costruzione della comunità cristiana.

Chiara Lubich che aveva avuto modo di conoscerlo personalmente, sempre apprezzandone le tante capacità, ma soprattutto riconoscendo la spiccata dimensione evangelica della sua vita e della sua azione, così si esprimeva negli stessi giorni in cui, prossimo alla fine, egli incontrava Giovanni Paolo II nella cappellina d’oro della chiesa dell’Annunziata, durante la sua visita apostolica a Gaeta:

«[il papa] è andato a trovare quel nostro sacerdote meraviglioso, che è don Cosimino, che da tempo è in punto di morte […] con dolori enormi […]. E lì è proprio il seme. Tanto è vero che il papa, alla fine, ha detto: «Ho trovato una diocesi viva». E io dicevo: perché c’è sotto il chicco che muore. […] Se il papa ha visto una Chiesa viva, è perché c’è don Cosimino che soffre quello che soffre, che è il parroco lì, e tutte quelle anime sono venute fuori in pratica da lui».

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