Sale la tensione per il Somaliland

Mentre gli attriti tra Etiopia e Somalia continuano a salire, alcuni media internazionali presagiscono già un’imminente, ennesima guerra. I popoli del Corno d’Africa, già così provati, sono sgomenti e sperano, credono e pregano che le voci della ragione, del dialogo e della pace possano prevalere.
Protesta a Mogadiscio, la capitale somala, contro l'accordo raggiunto tra Etiopia e Somaliland per l'accesso al mare. Foto Ansa/EPA/SAID YUSUF WARSAME

Il 1° gennaio 2024 l’Etiopia ha firmato un accordo che le garantisce l’accesso navale e commerciale ai porti lungo la costa del Somaliland, in cambio di un potenziale riconoscimento della sovranità. Un accordo che garantirebbe ad Addis Abeba dodici miglia di accesso al mare lungo la costa del Somaliland per i prossimi 50 anni, dove intende costruire una base navale.

La Somalia lo considera un attacco alla sua sovranità. Il governo etiope ha difeso la sua decisione affermando che l’accordo con il Somaliland «non avrà conseguenze su nessun’altro paese».

L’organizzazione commerciale dell’Africa orientale, Igad (Intergovernamental Authority on Development), si è riunita il 18 gennaio in Uganda per discutere delle tensioni. I popoli della regione sperano che le discussioni in corso portino ad una pace sostenibile.

L’annuncio dell’accordo Etiopia-Somaliland ha fatto scattare un campanello d’allarme e le reazioni sono arrivate in breve tempo. Il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana ha dichiarato di aver ascoltato i rappresentanti di Etiopia e Somalia ad Addis Abeba, ed ha esortato i due paesi del Corno d’Africa a perseguire un «dialogo significativo».

«Il Consiglio ha espresso profonda preoccupazione per le tensioni in corso […] e per il loro potenziale impatto negativo sulla pace, la sicurezza e la stabilità della regione», si legge in un comunicato.

Il Consiglio ha invitato l’Etiopia e la Somalia «a dar prova di moderazione, a smorzare la tensione e a impegnarsi in un dialogo significativo per trovare una soluzione pacifica alla questione».

Gli attori internazionali, tra cui Stati Uniti, Unione Europea, Cina e Lega Araba, hanno chiesto il rispetto della sovranità della Somalia, di cui il Somaliland ha fatto parte fino all’autoproclamata indipendenza del 1991.

Accesso al porto, quote di compagnie aeree e una promessa al Somaliland

L’epicentro dell’accordo è il porto commerciale di Berbera. Una parte dell’accordo prevede anche che il Somaliland detenga una partecipazione nella Ethiopian Airlines.

L’accordo proposto è stato sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti (Eau), che rimangono un forte sostenitore di Ahmed Ali Abiy, il primo ministro etiope. Si ipotizza che se l’Etiopia dovesse riconoscere il Somaliland Abu Dhabi potrebbe rapidamente seguirne l’esempio. E gli Emirati Arabi Uniti hanno sempre cercato di espandere la propria influenza nel Corno d’Africa.

Nel 2019 l’Etiopia ha acquistato una quota del 19 per cento del porto di Berbera, il Somaliland ha mantenuto il 30 per cento e DP World, azienda di Dubai e gestore portuale, il restante 51 per cento.

Gli intrecci della storia

Il Somaliland, ex protettorato britannico, si è staccato dalla Somalia nel 1991. Territorio abitato da circa 4,5 milioni di persone, è alla ricerca del riconoscimento formale come Stato da più di tre decenni, ma rimane non riconosciuto a livello globale, fatto che ne fa una terra povera e isolata. Si trova sulla costa meridionale del Golfo di Aden e confina con Gibuti a nord-ovest, con l’Etiopia a sud e a ovest, e con la Somalia a est. Mogadiscio si oppone fermamente alla rivendicazione di indipendenza, ma in realtà esercita ben poca autorità sugli affari della regione, che ha un proprio governo, forze di sicurezza e una valuta proprie.

L’Etiopia, il secondo Paese più popoloso dell’Africa e una delle più grandi nazioni del mondo senza sbocco al mare, è stata tagliata fuori dalla costa dopo la secessione dell’Eritrea e la sua dichiarazione di indipendenza nel 1993, a seguito di una guerra durata tre decenni.

Addis Abeba aveva mantenuto l’accesso ad un porto in Eritrea fino a quando i due Paesi non sono entrati in guerra nel 1998; da allora, il 95 per cento del commercio etiope passa da Gibuti.

Si spera nel dialogo

L’attuale crisi è annunciata da mesi; a metà ottobre 2023 il premier etiope aveva chiesto l’accesso al mare ed il suo discorso aveva fatto temere una nuova disputa con la vicina Eritrea.

In un discorso televisivo di 45 minuti al Parlamento etiope Ahmed Ali Abiy ha affermato che l’accesso ad un porto è una questione esistenziale per l’Etiopia e che gli etiopi dovrebbero almeno iniziare a discutere del Mar Rosso. Abiy ha detto che se il Nilo è una questione esistenziale per gli egiziani e i sudanesi, pur avendo origine in Etiopia, e discuterne apertamente non è un tabù, discutere del Mar Rosso non dovrebbe essere un tabù per gli etiopi.

«I leader di Somalia, Gibuti, Eritrea ed Etiopia dovrebbero discutere non solo della pace attuale – sostiene il premier etiope – ma anche di quella sostenibile. Non possiamo dire “non combattiamo oggi, lasciamo che i nostri figli combattano domani”. Impariamo a parlarci in modo che i nostri figli non combattano (domani)».

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