Agnese e Costanza: una santa, l’altra no

La basilica dedicata alla giovane martire e il mausoleo della figlia di Costantino, a Roma, formano un unico complesso paleocristiano di singolare fascino
La basilica di Santa Costanza a Roma (foto di Parrocchia di Santa Agnese fuori le Mura)

Non s’incontrarono mai, essendo Agnese morta 14 anni prima che nascesse Costanza (o Costantina), eppure le vicende dei primi secoli cristiani le hanno associate, come evidenziato anche dalla prossimità tra la basilica intitolata all’una e il mausoleo che porta il nome dell’altra: la giovinetta romana vittima, nel 304, della furiosa persecuzione scatenata da Diocleziano, sepolta in una catacomba lungo la via Nomentana; e la figlia dell’imperatore Costantino I che ad Agnese dedicò la prima basilica fuori le mura e dopo la morte in Bitinia nel 354 venne venerata pure lei come santa, in base ad una tradizione leggendaria secondo la quale, miracolata per intercessione della martire, si era convertita al cristianesimo.

In realtà Costanza condusse una vita tutt’altro che esemplare, sempre assillata dal demone del potere. A sentire lo storico Ammiano Marcellino, fu «una sorta di mortale Megera, seduttrice assidua di uomini violenti, desiderosa di sangue umano, per nulla più mite del marito». Che era poi un altro membro della dinastia costantiniana: Costanzo Gallo, sposato in seconde nozze da lei, vedova del cugino Annibaliano, fatto assassinare dal fratello Costante. Se un merito ebbe Costanza, fu di averci tramandato col suo nome uno dei più affascinanti edifici paleocristiani, quel mausoleo rimasto l’unica parte integra della basilica costantiniana di Santa Agnese. Ne riparleremo dopo aver descritto quella edificata da papa Onorio I nell’VIII secolo sulla tomba della martire, quando l’altra basilica era ormai fatiscente.

Vi si accede attraversando un piccolo giardino sul quale prospetta la facciata. L’interno, a tre navate sostenute da colonne antiche e con matroneo superiore, è preceduto da un nartece dove si conservano l’iscrizione di papa Damaso dedicata ad Agnese ed un pluteo marmoreo che reca al centro la figura della giovinetta avvolta in una dalmatica. Trovandosi fuori le mura, lungo il tratto della via Nomentana che fa parte oggi del quartiere Trieste, nel corso dei secoli la basilica subì saccheggi e distruzioni; pertanto, rifacimenti e restauri proseguirono fino al 1800.

Nel catino absidale si ammira l’opera più preziosa e antica: un mosaico del 625-638 raffigurante la martire tra i papi Simmaco ed Onorio, con evidenti influssi bizantini. L’altare maggiore, realizzato con marmi pregiati, custodisce la teca con le reliquie di Agnese ed Emerenziana (sorella di latte della prima, lei pure martire) ed è sormontato da una statua della titolare ricavata da un torso in alabastro di epoca romana, completato in bronzo nelle parti mancanti. Poco si sa di questa delicata fanciulla divenuta emblema di purezza verginale, se non che volle testimoniare la sua fede in Cristo malgrado la sua giovane età non l’obbligasse a sacrificare pubblicamente agli dei, come imponeva l’editto imperiale.

Usciti dalla basilica per una scalea le cui pareti sono tappezzate da frammenti marmorei ed epigrafi provenienti dalla sottostante catacomba, raggiungiamo il vicino mausoleo di Santa Costanza. Con San Giovanni in Laterano e Santa Croce in Gerusalemme, faceva parte di una delle tre basiliche costantiniane fatte costruire a Roma su terreni di proprietà imperiale. Questa, più che essere adibita al culto (all’epoca si svolgeva ancora in gran parte nelle domus ecclesiae), aveva una destinazione cimiteriale e come gli altri edifici del genere aveva, invece di tre navate, solo le due laterali, che proseguivano in un semicerchio seguendo l’abside.

Oggi del vasto edificio rimangono solo parti del muro perimetrale e dell’abside, i cui possenti contrafforti sono ben visibili dalla sottostante piazza Annibaliano. Lo spazio interno è sistemato a prato punteggiato da cipressi. Su una navata laterale s’innesta pressoché integro il gioiello paleocristiano di Santa Costanza, una rotonda coperta da una cupola di circa 22 metri di diametro con un ambulacro interno circoscritto da 12 coppie di colonne di granito. L’innovazione dei due spazi circolari concentrici deriva dal modello del Martyrium del Santo Sepolcro, eretto a Gerusalemme da Costantino e dalla madre Elena.

Scomparsi i mosaici della cupola che dovevano essere splendidi e il sontuoso rivestimento marmoreo delle pareti, rimane nella volta a botte dell’ambulacro la magnifica decorazione musiva in cui motivi geometrici si alternano a scene di vendemmia e a ritratti inseriti in medaglioni (tra questi, forse, quelli della stessa Costanza e del primo marito). Si tratta di figurazioni consuete nel mondo pagano, assunte e riempite di nuovo significato dai seguaci di Cristo, mentre nella cupola erano probabilmente raffigurati simboli e immagini più consoni alla nuova religione.

La nicchia rettangolare opposta all’entrata ospitava il monumentale sarcofago di Costanza in porfido rosso, il marmo riservato alla famiglia imperiale, decorato con motivi che riprendono i temi riprodotti nella volta dell’ambulacro. Prodotto certamente di botteghe orientali (le cave di questo marmo si trovavano in Egitto), è conservato in Vaticano nel Museo Pio Clementino insieme al suo gemello, proveniente dal mausoleo di Elena a Tor Pignattara. Al suo posto è collocata una copia in gesso. In altre due nicchie, superstiti mosaici della fine del IV secolo rappresentano la consegna delle chiavi e del rotolo della Legge a san Pietro.

Impossibile sottrarsi al fascino di questo interno solenne scandito dall’armonico cerchio di colonne, dove dalla penombra dell’ambulacro si passa alla gran luce dello spazio centrale: motivo per cui Santa Costanza è ricercata da molte coppie che desiderano celebrarvi il loro matrimonio, mentre non sono rari i coniugi che, suggestionati da tanta bellezza, rimpiangono di non averla scelta a suo tempo per tale scopo.

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