Dal Sinodo la preghiera per la pace

Mentre proseguono gli incontri dell'assemblea dei vescovi, si leva in particolare il grido a favore della fine delle ostilità in Terra Santa. Particolarmente significativo l'intervento della presidente dei Focolari, Margaret Karram
Foto Vatican Media/LaPresse 12-10-2023 Città del Vaticano, Vaticano Cronaca Sinodo dei Vescovi - Circoli Minori in Vaticano

«Signore, ti preghiamo per la Terra Santa, per le popolazioni di Israele e Palestina, che sono sotto la morsa di una inaudita violenza; per le vittime, soprattutto i bambini, per le persone ferite, per quelle tenute in ostaggio, per i dispersi e le loro famiglie». La preghiera per la Terra Santa e per i Paesi in guerra pronunciata da Margaret Karram, palestinese nata a Haifa (Israele), presidente del Movimento dei Focolari, riempie l’Aula Paolo VI dando voce allo sconcerto e alla preoccupazione dei partecipanti al Sinodo. «In queste ore di angoscia e di sospensione uniamo la nostra voce a quella del Papa e alla preghiera corale di coloro che in tutto il mondo implorano la pace. Ricordiamo anche l’Ucraina, gli altri Paesi del Medio Oriente e tutti i Paesi in guerra, che vivono nel terrore e nella distruzione». È quasi tangibile il sentimento comune di dolore. I cuori tacciono, lo sguardo fiducioso si rivolge al Principe della Pace: «Aiutaci Signore a impegnarci a costruire un mondo fraterno, affinché questi popoli e quanti sono nelle stesse condizioni di conflitto, di instabilità e violenza, ritrovino la strada del rispetto dei diritti umani, dove la giustizia, il dialogo e la riconciliazione sono gli strumenti indispensabili per costruire la pace».

Parole di pace risuonano anche per buona parte del briefing nella Sala Stampa vaticana. «Questa mattina per me è stato un momento molto forte perché da quando è scoppiata la guerra in Terre Santa, Israele e Palestina, io mi sono sentita il cuore straziato, con un profondo dolore e mi sono chiesta cosa stavo facendo qui al Sinodo. Forse avrei potuto fare altre cose per promuovere la pace». Così inizia il suo intervento Margaret Karram. «La prima cosa è stata unirmi a quello che il papa ha detto e alla preghiera di tutti quanti. Mi è sembrato bello che in questo momento eravamo tutti radunati qui al Sinodo – rappresentanti di tutto il mondo, di tutti i Continenti – e che potevamo dedicare un momento di preghiera profonda a Dio chiedendo la pace insieme».

Proprio in questo momento, in cui la speranza sembra lontana, la preghiera diventa la forza, il motore di tante iniziative a favore della pace. In Israele e in Palestina «ci sono tante organizzazioni che lavorano per costruire ponti, ma di questo nessuno ne parla». Continua la presidente del Movimento dei Focolari. «Si parla solo di odio, di divisioni e terrorismo, e si costruisce un’immagine dei popoli che non è vera».

Non bisogna, invece, dimenticare le tante persone che stanno lavorando per costruire ponti. «Il patriarcato e tutte le chiese della Terra Santa si sono subito attivati per unirsi in preghiera, non solo a livello locale ma in tantissime comunità», ha detto Margaret Karram. «Anche in Italia, tante comunità cristiane si sono unite in preghiera per pregare via zoom il Rosario. Il Movimento dei Focolari si è collegato con l’Ucraina e la Terra Santa».

Il Movimento dei Focolari ha anche promosso l’iniziativa «Live in peace», che parte dai bambini e dai giovani, e lavora con centinaia di organismi e di scuole in Terra Santa. Ciascuno è chiamato a unirsi in preghiera alle 12, ora italiana, a impegnarsi in atti concreti di solidarietà con persone di un’altra religione, a scrivere ai governanti un appello per la pace. «Sembrano gocce nell’oceano, ma almeno sono cose concrete lanciate per essere solidali con tanti nel mondo. Io stessa ho ricevuto centinaia di lettere da ogni parte del mondo, ogni comunità sta pregando per la pace. Alcuni miei amici ebrei in Israele si sono preoccupati di quelli che vivono a Gaza», spiega Karram sottolineando poi l’urgenza di uno sforzo internazionale congiunto per aiutare a riprendere i negoziati fra le parti. «Bisogna unire le nostre forze, nel rispetto dei diritti umani di tutti i popoli e per riprendere la strada della riconciliazione tra tutti», conclude.

L’anelito alla pace è un sentimento comune, appartiene a tutti i popoli. Così mons. Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo di Bamenda (Camerun), membro del Consiglio Ordinario, prendendo la parola durante il briefing, commenta: «La guerra non può mai essere una soluzione. Siamo figli di Dio uniti che credono nella pace e operano per la pace. La sinodalità fa parte della comunità africana: facciamo sempre le cose come una famiglia e consultiamo tutti nell’ambito della famiglia».

Suor Caroline Jarjis, proveniente dall’Iraq, è testimone del processo sinodale e nella preghiera del 12 ottobre ha letto il Vangelo in arabo. «Tutti uniamo le nostre preghiere per la pace, siamo una famiglia», dichiara durante il briefing e, sull’esperienza del Sinodo, chiarisce: «Non stiamo solo preparando un documento ufficiale, stiamo vivendo un’esperienza come quelle dei primi cristiani, che condividevano tutto, le sofferenze e le ricchezze. Noi siamo un Paese di guerra, di minoranza cristiana, abbiamo sofferto tanto nella nostra vita, ma la nostra chiesa è ricca di speranza perché abbiamo i martiri che ci danno la forza per andare avanti. Oggi viviamo un altro periodo delicato, ma io tornerò da Sinodo con una forza più grande, perché c’è la Chiesa universale con me».

In questo momento di grande preoccupazione per tutte le persone vittime della guerra in Medio Oriente, la Presidenza della Cei ha aderito all’appello cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, che ha chiesto alle comunità locali di incontrarsi «nella preghiera corale, per consegnare a Dio Padre la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione». Martedì 17 ottobre, quindi, è stata indetta una Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione.

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