22 a 3 fra nuoto ed atletica

Il segreto del successo? Le famiglie! – spiega sorridente, e ne ha motivo, il commissario tecnico del nuoto Castagnetti, reduce dal trionfo dei campionati europei di Budapest -. Sono loro, le famiglie il motore dello sport giovanile . E cosa fa una famiglia? Porta il figlio a nuotare. Magari glielo ha suggerito il pediatra. Magari fanno questa scelta solo perché il tam tam delle madri spinge all’emulazione. Però è proprio su questo che abbiamo costruito il nostro rapporto con la base. Ora il nuoto italiano può contare su un bacino di raccolta enorme ed il lavoro che sta facendo la federazione è tenere contatti permanenti con le diverse realtà territoriali, motivando i tecnici locali. Un lavoro che premia, a giudicare dai risultati di un’euforica estate sportiva italiana che, corroborata dal successo mondiale nel calcio, è stata impreziosita da quelle incredibili 22 medaglie europee. In Ungheria è stata festa quasi continua: tre medaglie al giorno, un trionfo che condizionerà in modo evidente le intenzioni sportive dei nostri ragazzi ora che si stanno per riaprire le scuole. In piscina oggi siamo la terza forza in Europa, sopravanzati solo da Germania e Russia, tradizionali ed insuperabili in quanto a cultura sportiva. Il successo dei nuotatori azzurri mette ancora più in evidenza le magre soddisfazioni riportate a Goteborg, dove è andato in scena l’altro grande appuntamento continentale, quello dell’atletica. Nuoto batte atletica ventidue a tre: alla pioggia di medaglie in piscina l’atletica ha infatti saputo rispondere con tre sole medaglie, due ori ed un bronzo. È vero che Andrew Howe, il simpatico ragazzone di colore di Rieti è oggi la più bella speranza mondiale nel lungo, anche in prospettiva Olimpiadi di Pechino, ma l’inesauribile Baldini in Cina avrà 37 anni e le fatiche della maratona, si sa, non perdonano. Sarà bene non dimenticare che dietro queste punte non c’è l’iceberg: c’è solo un deserto di sterpaglie burocratiche che avvelena l’atletica. Howe ha passato l’inverno in California a perfezionarsi da Carl Lewis e il suo talento, se coccolato e non gestito, rischia di diventare un altro caso Fiona May: dopo di lei, il lungo femminile, anziché progredire e ripopolarsi, è misteriosamente scomparso. Per riportare l’atletica ad un livello decoroso – ha dovuto ammettere Carlo Vittori, il padre di tutti i tecnici dell’atletica italiana – manca l’anello della catena che consente, come accade nel nuoto, di saldare l’attività federale con i tecnici del campo: per queste persone, tutte molto preparate, non c’è alcuna prospettiva. Svolgono la loro attività con grande professionalità, ma per loro è una sorta di missione etico-sportiva, senza alcuna remunerazione, né gratificazione del lavoro svolto. E dopo un po’, per poter guadagnare qualcosa, passano ad occuparsi d’altro, a fare i preparatori atletici nel calcio o nel nuoto, appunto. Paradossalmente le fortune del nuoto cominciano dunque proprio dove finiscono i disagi dell’atletica: mors tua, vita mea. Inevitabile. Il numero di bambini italiani indirizzati verso una pratica sportiva stabile, magari con l’obiettivo di accedere alla fase agonistica, non è certo aumentato rispetto a quindici anni fa. Anzi probabilmente è pure diminuito. Ma fino ad allora l’atletica era praticata nelle scuole, dove ora gli insegnanti sono demotivati. E così a scegliere sono le famiglie. La grande e vincente tradizione italiana dell’atletica (18 ori olimpici contro i 3 del nuoto) sembra davvero al tramonto. Solo apparentemente i numeri smentiscono previsioni oscure: sono 5 milioni gli italiani fedeli alla corsa (secondi solo ai praticanti il calcio), contro 3,5 milioni di nuotatori; 2635 le società di atletica contro le 1350 del nuoto. Ma attenzione: sono numeri fuorvianti. La piscina infatti è piena di ragazzini, l’atletica pullula di master, adulti con qualche decina d’anni, ed i pochi giovani competitivi provengono dai gruppi sportivi militari. Alle gare regionali di atletica spesso solo la presenza degli atleti più attempati scongiura gare sui 200 metri con solo un paio di partecipanti o sfide nel mezzofondo con un solo atleta in gara, un’esperienza non certo incoraggiante. Per la gare di nuoto occorre prendere il numeretto e mettersi in fila per tuffarsi dai blocchi. Altro mondo. L’ a t l e t i c a italiana svanisce nel ricordo di tante belle medaglie con un rovescio poco simpatico: il vuoto organizzativo. I pochi talenti vanno (o vengono spinti) in altre direzioni: pallavolo, basket, nuoto, p e n t a t h l o n moderno. Il mito dei mostri sacri dell’atletica americana, miseramente macchiato nel corso dell’estate dall’onta del doping, non aiuta certo l’immagine della madre di tutti gli sport. I dirigenti dell’atletica, ed il Coni con loro, intendono correre ai ripari, prima che sia troppo tardi, riallacciando i rapporti con la scuola per cercare di riappassionare i ragazzi ad una fatica che sia ancora fonte di divertimento.

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