Nonostante il default dello Stato dichiarato il 7 marzo 2020, seguito da anni di stallo e veti incrociati, c’è voluto il crollo del regime siriano e la guerra in Libano fra Hezbollah e l’esercito israeliano – con quasi 4 mila morti, 20 mila feriti e 1,2 milioni di sfollati –, per consentire finalmente al Parlamento libanese di eleggere il presidente della Repubblica – Joseph Aoun, insediato il 9 gennaio 2025 –, e di nominare (84 voti su 128, con 34 astenuti) primo ministro Nawaf Salam, incaricato il 13 gennaio 2025 di formare il governo. Dopo 3 sole settimane di trattative, l’8 febbraio, Salam ha annunciato di aver raggiunto l’intesa per varare un governo tecnico di 24 membri. Nonostante la situazione economica e sociale del paese non sia magicamente cambiata, i libanesi hanno tirato un sospiro di sollievo. Anche e soprattutto perchè Salam e molti ministri del suo governo rappresentano qualcosa di nuovo rispetto ai soliti noti che si erano “spartiti” il paese dei cedri per decenni. Si tratta infatti di un governo tecnico, dove su 24 ministri ben la metà è costituita da volti nuovi, indipendenti dai partiti tradizionali, e l’altra metà è di area partitica. Però non si tratta dei leader e le formazioni di provenienza sono molto varie (Forze libanesi e Kataeb cristiani, Socialisti drusi, Tashnag armeno, Amal e Hezbollah sciiti). Sotto il profilo confessionale, molto importante in Libano dove lo stato riconosce 18 confessioni, ci sono 12 ministri cristiani (5 maroniti, 4 greco ortodossi, 1 greco cattolico, 1 protestante e 1 armeno ortodosso) e 12 ministri musulmani (5 sciiti, 5 sunniti, 2 drusi).
La compagine del nuovo governo, e lo spirito in cui nasce, rispecchia le parole che il presidente della Repubblica, Joseph Aoun, ha rivolto al nuovo esecutivo: «I membri del governo non sono partigiani e saranno certamente al servizio di tutti i libanesi perché il loro obiettivo è servire tutto il Libano». Parole che suonano decisamente nuove rispetto all’andazzo del passato. Nel governo sono inoltre presenti 5 donne: è vero che non hanno ministeri “forti”, ma sono 5, mentre nel governo precedente ce n’era una sola. E sono 3 musulmane a capo di Istruzione, Affari sociali, Ambiente; e 2 cristiane per Turismo, Giovani e Sport.
Un «governo che non può soddisfare tutti», ha espressamente riconosciuto il premier durante la presentazione dei 24 ministri, che avranno davanti ardue sfide: mantenere la tregua con gli israeliani; trovare fondi per ricostruire il Paese; affrontare la tremenda crisi finanziaria (un dollaro vale oggi 90 mila lire libanesi); ecc. Gli “insoddisfatti” ai quali Salam alludeva sono soprattutto i membri dell’asse sciita Amal-Hezbollah, che hanno subito un forte ridimensionamento rispetto al governo precedente, ma alla fine hanno comunque aderito alla proposta di Salam e sono entrati nel nuovo governo (2 ministri di Amal e 2 di Hezbollah). L’accettazione di Hezbollah è fra l’altro indice di un nuovo corso che sarebbe in atto nel “Partito di Dio”, di apertura ad un impegno politico più “libanese”, nel tentativo interno di ripensare i rapporti con l’Iran.
Tuoni e fulmini dagli Stati Uniti, che chiedono categoricamente l’esclusione di Hezbollah dal governo, pena il blocco degli aiuti; e da Israele che, come al solito, minaccia di far riesplodere il conflitto. Amal e Hezbollah, da parte loro, sostengono di essere un attore politico legittimo: effettivamente i loro deputati sono stati regolarmente eletti e la componente sciita della popolazione non è trascurabile. Il Segretario generale Onu e perfino l’Unione Europea hanno preso posizione a sostegno del nuovo governo libanese. La “ministra degli esteri” europea Kaja Kallas ha scritto in una nota: «Mi congratulo vivamente con il Libano per la formazione di un nuovo governo e auguro al primo ministro Nawaf Salam e all’intero esecutivo il pieno successo nel realizzare le aspirazioni del popolo libanese». L’“intero esecutivo” citato dalla Kallas sembra (o almeno si spera) comprendere anche i ministri sciiti.
Il nuovo premier, Nawaf Salam, è nato a Beirut nel 1953 in una famiglia che ha dato al Libano grandi personalità politiche. È un magistrato, giurista, docente universitario e soprattutto un diplomatico di rango. Prima di accettare la mission impossibile di formare e guidare un governo libanese, era presidente della Corte internazionale di Giustizia (Cig) delle Nazioni Unite, che ha sede a L’Aia come la Corte penale internazionale (Cpi), con la quale non va però confusa.