“A Parigi adesso costruiamo la fraternità”

In un Paese ancora scosso per gli attentati avvenuti nel cuore di Parigi, alcune associazioni ed esponenti della società civile lanciano l’appello per ripensare la Repubblica dalle sue fondamenta. Una laica ricerca del legame sociale. Gli interventi di Jean-Louis Sanchez, Jérôme Vignon e Jean-Baptiste de Foucault
fraternitè

Un mese fa, la Francia è stata scossa da una serie di attentati di grande valore simbolico, che hanno provocato la morte dei giornalisti della rivista satirica “Charlie Hebdo”, di una poliziotta, di un impiegato comunale e dei clienti di un negozio di alimentari ebraico. La risposta della società c’era stata qualche giorno dopo, l’11 gennaio, con una immensa manifestazione popolare, che ha assunto una dimensione internazionale mai vista prima. Ma cosa resta, oggi, di quello slancio di solidarietà globale?

Gli uomini politici hanno nuovamente cominciato ad affilare le proprie armi. La sinistra deve destreggiarsi con un tasso di disoccupazione record, la destra è lacerata dalle divisioni interne, ignorando il termine “fraternità”, e l’estrema destra di Marine Le Pen ramazza i frutti di un diffuso senso di insicurezza sociale.

E così, lo scorso 4 febbraio, alla vigilia della conferenza stampa del capo dello Stato, un certo numero di associazioni e di esponenti della società civile ha lanciato un appello a tutti I francesi, per vivere concretamente la fraternità. L’obiettivo: creare, ogni anno, una “settimana della fraternità”, durante la quale ogni residente in Francia deve fare qualcosa per gli altri. Un’utopia di intellettuali idealisti? Sì, se queste stesse persone non lavorassero da anni per tessere dei legami negli ambienti più diversi della società.

«Di fronte all’attuale deficit di valori e di punti di riferimento – spiega Jean-Louis Sanchez, presidente del collettivo “Appello alla Fraternità” – vogliamo chiedere a ciascuno di mettere in evidenza tutto ciò che può unirci, per fare delle nostre differenze di età, di origine, di cultura e di religione, una ricchezza».

Jean-Louis Bianco, presidente dell’Osservatorio sulla laicità, insiste sull’importanza della fiducia tra le persone. «I discorsi – afferma – non bastano per realizzare la fraternità. Per riuscirci, bisogna vivere insieme, agire insieme. La laicità non è anti-religiosa, è invece la libertà di credere o di non credere».

Jérôme Vignon, presidente delle Settimane sociali francesi, che rappresenta la lunga tradizione del cristianesimo sociale, insiste sul fatto che le differenze esistenti tra le persone possono sembrare insormontabili, tuttavia, spiega, «la fraternità non è un campo soltanto dell’intelligenza, ma rientra nell’ambito dei sentimenti. Ricordiamoci dell’appello dei vescovi: “Cosa hai fatto a tuo fratello”?».

Animatore del “Patto civico”, Jean-Baptiste de Foucault ha lavorato per anni a ricreare dei legami sociali tra i disoccupati e in quartieri ritenuti “difficili”. Egli ritiene che si debba aiutare la Repubblica a realizzare la “fraternità” che fa parte del suo motto (libertà, uguaglianza, fraternità, ndt). «È una sfida – afferma – in quanto ci manca una “spiritualità collettiva”, nel senso di un’anima, uno spirito comune. Bisogna dunque lavorare sulla fraternità, in quanto essa è impalpabile».

Molti degli intervenuti hanno sottolineato che, se giuridicamente la libertà e l’uguaglianza sono ben definite, la fraternità è una sorta di «parente povero della Repubblica, mentre c’è un’inflazione di libertà e di uguaglianza».

Ciò vuol dire che solo i cittadini possono far vivere la fraternità. Si pongono dunque delle domande, che vanno al di là dell’aspetto giuridico: “Se io vivo la fraternità, la mia libertà è senza limiti? Se io vivo la fraternità, i diritti sindacali, imprenditoriali, dei gruppi e perfino delle caste sono assoluti? La sacrosanta “uguaglianza delle possibilità” a scuola, al lavoro, è una realtà se io non ho un’abitazione o una casa decente o la possibilità di istruirmi? Queste sono solo alcune delle esigenze che la fraternità domanda a ciascuno. «La fraternità non è la ciliegina messa sulla torta per renderla più bella – dice uno dei partecipanti all’incontro -. La fraternità deve essere come un ingrediente che deve impregnare tutta la torta».

Il neosindaco di un piccolo comune dell’Alsazia, con soli mille e 500 abitanti, spiega: «Quando sono stato eletto sindaco mi sono chiesto come creare dei legami tra gli abitanti affinché il villaggio diventasse la loro “casa comune”». Il primo cittadino ha dunque lanciato un progetto con il quale chiedeva ad ogni residente di donare una giornata per il proprio comune. E così, nel giorno definito, gli abitanti sono stati al gioco e hanno ripulito il cimitero, hanno messo a posto un locale per attività comuni e hanno ripitturato alcune parti di una scuola. Oltre al lavoro pratico, le persone che non si conoscevano si sono parlate. E questo è stato possibile perché un sindaco ha osato chiedere aiuto ai cittadini piuttosto che promettere loro qualcosa. Dopo che il sindaco ha raccontato questa esperienza, altri 250 eletti di tutta la Francia lo hanno contattato perché intendono imitarlo.

Molti hanno notato che se si parla di inciviltà in alcuni quartieri, i politici non danno il buon esempio. «La funzione del politico è di capire come unire le varie diversità esistenti, ma per fare questo c’è bisogno di innovazione politica», afferma Jean-Baptiste de Foucauld. E la moltitudine di iniziative concrete ipotizzate nel corso della riunione, potrebbe creare un terreno fertile per una fraternità vissuta. Una buona notizia, che però va diffusa: Finalmente la fraternità è la mia vita in mezzo agli altri.

 

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