L’Uruguay legalizza le droghe leggere

Cansumare cannabis è legale da tempo, ma fino a martedì non lo erano la compravendita e la coltivazione. Il governo approva così una legge molto discussa con l'intento di limitare l'accesso al "circuito illegale" e frenare il potere delle bande, filiali del narcotraffico internazionale
Uruguay

Non è raro, camminando per il centro di Montevideo, distinguere chiaramente, tra le molteplici sensazioni olfattive, il dolciastro aroma delle sigarette di marijuana.

Le fumano soprattutto i giovani, nelle piazze alberate e sui marciapiedi di fronte alle università private più prestigiose. Ciò si deve al fatto che consumare cannabis è legale da tempo, anche se non lo era – fino a martedì scorso – la compravendita e, ovviamente la coltivazione. Una situazione contraddittoria per la quale gli amanti dell’“erba” reclamavano da tempo una soluzione.

La legge appena approvata in Senato coi soli voti della maggioranza permette la piantagione, il consumo e la compravendita di questa droga, considerata leggera, ai maggiorenni a certe condizioni. E lo Stato ne sarà il garante e il controllore.

A partire dell’entrata in vigore della regolamentazione (fra 3 mesi o 4 al massimo) ogni cittadino uruguayano maggiore d’età (o straniero legalmente residente) che si registri in un apposito elenco (che rispetterà l’anonimato e la privacy) potrà acquistare un massimo di 40 grammi di marijuana al mese nelle farmacie (per la produzione lo Stato darà licenze ai privati, fino a coprire il fabbisogno), oppure coltivare in casa fino a sei piante per persona, con un raccolto che non superi i 480 grammi. Sarà possibile anche formare “club” di consumatori, con un minimo di 15 e un massimo di 45 soci, che potranno coltivare una quantità proporzionata di piantine. Sarà penalizzata la guida sotto effetto dello stupefacente.

Il tutto (farmacie, registro, abusi, educazione preventiva prevista e cura dei problemi di salute connessi) sarà controllato da un nuovo ente di diritto pubblico formato da rappresentanti di tutte le parti in causa. Non si tratta quindi, come erroneamente segnala la stampa internazionale, di una liberalizzazione o di una legalizzazione assoluta. È comunque storico che uno Stato si occupi della regolazione di una sostanza psicoattiva.

L’iniziativa punta con pragmatismo a regolare il consumo di una sostanza pericolosa, come ammette il governo. Il presidente della Repubblica e capo dell’esecutivo, José Mujica, ne è stato il primo promotore, motivandola con la conclusione a cui è arrivata la Commissione globale delle politiche delle droghe: «La guerra mondiale contro la droga ha fallito»; la battaglia frontale contro il narcotraffico internazionale e l’abbordaggio che punta a reprimere e penalizzare il consumatore ha persino stimolato il commercio mondiale a grande scala di stupefacenti, aumentando gli introiti da capogiro di quella che è, di gran lunga, la prima industria dell’economia reale planetaria.

Ma che c’entra il narcotraffico internazionale se in quasi tutti i Paesi del mondo, secondo dati degli organismi internazionali, si coltiva la pianta della cannabis? E poi, in Uruguay come nei Paesi vicini, il problema non è piuttosto l’economicissima e distruttiva “pasta base” (o crack) – prodotto a base di scarti estremamente tossici della produzione della cocaina “per ricchi”, ottenuta con ammoniaca e altri additivi chimici –, che uccide neuroni che non si rigenerano e fa perdere totalmente il controllo a bambini e ragazzi poveri, favorendo una criminalità di crescente violenza? Infine, i fumatori di marijuana non sono soprattutto studenti di classe media e medio-alta, oltre a sessantottini nostalgici, che rappresentano una minoranza tutto sommato insignificante?

 Secondo dati della Giunta nazionale antidroga, sono 28 mila i cittadini che fanno un uso “problematico” (per la salute) della marijuana, contro gli oltre 230 mila che hanno seri problemi con l’alcol e gli oltre 50 mila che presentano una dipendenza da farmaci legali. (Questi dati sono stati armi utilizzate dall’opposizione nel lungo dibattito pre-votazione – 12 ore! – in Senato).

Il fatto è che chi compra marijuana, per ora lo deve fare ricorrendo al circuito illegale, alle “bocche di vendita” dove, oltre alla piantina verde, trova anche altre droghe, quelle pesanti.

L’intenzione legislativa è stata quindi limitare l’accesso a questo circuito e limitare il potere delle bande di quartiere, filiali del narcotraffico internazionale, che cominciavano a far paura davvero. Da almeno un anno a questa parte, infatti, alcuni quartieri marginali della capitale si stanno “favelizzando”. Sono iniziate le sparatorie per strada, e con armi sempre più sofisticate, tra bande rivali, per il controllo del mercato locale.

Per l’opposizione, nessuno di questi motivi è valido, e anche la maggioranza della popolazione (oltre il 60 per cento) non approva questa legge.

Vari legislatori hanno segnalato il pericolo dell’aumento del consumo, non credendo all’efficacia di quanto promesso dal governo, che ha incluso nella legge l’obbligatorietà dell’inserimento di una materia chiamata “Prevenzione all’uso problematico delle droghe” dall’asilo all’università, oltre ad altre misure di controllo e limitazione del consumo.

Il partito di governo, il Frente Amplio (centrosinistra) difende a spada tratta la nuova legge, anche se la definisce un esperimento. La giustifica dicendo che punta a una riduzione del danno, tutt’altro che a stimolare il consumo. E poi toglierà il controllo del mercato al narcotraffico, anche perché un prezzo competitivo (si calcola un dollaro a grammo) scoraggerà il ritorno al mercato sommerso. (Ma la narco-mafia se ne andrà, o cercherà di diversificare la sua attività puntando ad espandersi a una nuova “clientela”?)

Tra i 20 e i 30 milioni di dollari (in un Paese di poco più di tre milioni di abitanti) è il “fatturato” stimato della mafia della droga interna, ottenuto dalla vendita di marijuana all’8 per cento della popolazione. I guadagni dello Stato per la vendita della cannabis saranno utilizzati per la promozione di politiche di promozione che scoraggino il consumo e alla cura dei tossicodipendenti di questa sostanza. Tra le fila del governo si esclude che si instauri un “narcoturismo”, poiché la vendita sarà per i soli cittadini uruguayani o per gli stranieri legalmente residenti.

Ma i detrattori della legge (tra cui c’è la Chiesa) si chiedono cosa faranno i minorenni. E rispondono: continueranno a rivolgersi al mercato nero. Inoltre, i senatori che si sono apposti hanno presentato dati che parlano di una triplicata potenza tossica delle piante di cannabis che si coltivano al giorno d’oggi rispetto al passato, oltre ai danni cerebrali comprovati dalla ricerca scientifica, così come per la dipendenza. Infine, hanno segnalato che l’Olanda, il paradiso dei fumatori di “Maria”, pioniere della sua regolamentazione, sta facendo marcia indietro, irrigidendo la sua normativa sul commercio (quasi) libero dello stupefacente in questione.

Le ripercussioni internazionali non sono mancate, divise tra applausi e fischi. Oltre alle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, il presidente della Giunta internazionale di fiscalizzazione degli stupefacenti (Jife, in inglese), ha duramente condannato la legge, perché «contravviene alla Convenzione Unica del 1961 sugli stupefacenti» della quale l’Uruguay è firmatario. 

Dopo avere elencato i motivi del comunicato, il presidente della Jife, Raymond Yans, ha assicurato che «fumare cannabis è più cancerogeno che fumare tabacco». Ma il presidente Mujica si è chiesto perché Yans non ha rivolto lo stesso rimprovero ad esempio ai vari stati Usa che hanno leggi simili.

Il Brasile, invece, vuole studiare l’applicazione della nuova norma e ha chiesto al governo uruguayano di poter far parte del comitato scientifico che ne monitorerà l’impatto.

Il tempo dirà se la polemica iniziativa uruguayana risulterà vincente oppure peggiorerà le cose.

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