L’Italia sulla Via della seta

Il nostro Paese starebbe per aderire alla nuova Via della Seta, che promette di avvicinare la Cina e l’Europa, aumentando gli scambi commerciali, tecnologici e culturali, ma aprendo alcune questioni geopolitiche

La cosiddetta Nuova Via della seta (Belt and road initiative) è un enorme progetto commerciale e infrastrutturale che intende collegare la Cina all’Europa, all’Africa e all’Asia, coinvolgendo oltre 80 Paesi, attraverso una serie di nuovi porti, ferrovie e strade finanziati dalla Cina lungo dei corridoi di commercio terrestre e marittimo, fino a raggiungere Venezia. Mentre molti cantieri sono già aperti in vari Paesi e in Europa la Croazia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Grecia, la Polonia e il Portogallo e Malta hanno già firmato l’adesione alla Nuova Via della Seta, l’Italia potrebbe essere il primo Paese del G7 ad aderire alla nuova Via della seta, firmando l’accordo in occasione della visita in Italia del presidente cinese, Xi Jinping, prevista il 22 marzo a Roma. Allo stesso tempo, alcuni Paesi, come la Malesia, hanno iniziato a dubitare dei benefici dei progetti legati all’iniziativa cinese.

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Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo economico, in un’intervista rilasciata al Financial Times, ha affermato che «i negoziati non sono ancora terminati ma è possibile che siano conclusi in tempo» per la visita di Xi Jinping Gerace manifesta la volontà di essere «sicuri che i prodotti del Made in Italy possano avere un maggiore successo in termini di volumi esportati in Cina, che è il mercato in più rapida espansione al mondo». La nuova Via della Seta non servirebbe solo a scambiare merci, ma anche tecnologia, scienza e cultura. Secondo Geraci il memorandum sarebbe solo «una struttura iniziale», poiché «non è un contratto, non ci sono impegni, non ci sono fondi e non ci sono obblighi».

Secondo un memorandum d‘intesa, che EURACTIVE avrebbe ottenuto in esclusiva, la Cina sosterrebbe delle sinergie tra la nuova Via della seta e le priorità individuate nel piano di investimenti per l’Europa e le reti transeuropee. Inoltre, il memorandum stabilirebbe che la Cina e l’Italia «promuoveranno sinergie e rafforzeranno la comunicazione e il coordinamento», oltre a «migliorare il dialogo politico» su «standard tecnici e normativi». La stessa fonte parla di una certa irritazione del Ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero Milanesi, per non essere stato coinvolto nella definizione dell’accordo, mentre sarebbe già prevista una cerimonia per la firma del memorandum, con il coinvolgimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, e del Ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio.

Quel che è certo è che la Cina sarebbe pronta ad investire notevoli capitali in Italia. Innanzitutto nel porto di Trieste, che sarebbe l’approdo ideale per le navi cariche di merci cinesi e, infatti, sarebbe l’approdo della cosiddetta via della seta del mare. Ma gli investimenti cinesi passerebbero anche per la realizzazione della rete, nonché implementando la collaborazione tra i rispettivi operatori elettrici nazionali, la State Grid Corporation della Cina e l’italiana Terna, già controllata per il 29,8% da CDP Reti, della quale il 35% delle azioni sono detenute proprio dalla State Grid Corporation della Cina. Più complicato è il dossier che riguarda la realizzazione della rete 5G in Italia da parte di Huawei, il colosso cinese della telefonia, che porrebbe problemi di sicurezza nel traffico dei dati ed è vista in modo estremamente negativo dagli Stati Uniti. Alcuni governi, come quelli di Regno Unito e Germania, stanno valutando impedire ai propri operatori di telefonia mobile di utilizzare tecnologia Huawei.

Proprio gli Stati Uniti hanno manifestano irritazione circa la prospettiva che l’Italia si unisse alla nuova Via della seta, ravvisando che il progetto potrebbe danneggiare in modo significativo l’immagine internazionale dell’Italia. In particolare, Garrett Marchese, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, avrebbe dichiarato che la nuova Via della seta sarebbe un’iniziativa «fatta dalla Cina, per la Cina».

Eppure, già l’8 settembre 2018 il ministero dello Sviluppo economico aveva annunciato il raggiungimento dell’intesa sul testo di un memorandum d’intesa tra lo stesso ministero e la Commissione nazionale per lo Sviluppo e le riforme cinese, per la collaborazione tra Italia e Cina in Paesi terzi. Secondo tale accordo, l’Italia e la Cina si impegneranno a ricercare aree di cooperazione congiunta in Paesi terzi. Un primo obiettivo di questa nuova forma di collaborazione sarà l’Africa, il continente che è destinato, con la sua prorompente demografia e le sue prospettive di crescita economica, ad attirare sempre maggiore attenzione dei Paesi europei, e dell’Italia in particolare, sia per gestire il fenomeno migratorio, sia per aprire nuovi mercati al nostro sistema imprenditoriale nonché per condividere insieme ai paesi africani le sfide sulla strada dello sviluppo, della crescita economica e della sostenibilità. Del resto, la Cina ha investito smisurati capitali in Africa, divenendo di fatto il primo player geopolitico nel continente.

La nuova Via della seta andrebbe valutata proprio in un’ottica geopolitica. Se è indubbio che la Cina si muove per suoi concreti interessi economici e geopolitici, è anche vero che gli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi anni, si stanno disinteressando alle sorti dell’Africa e dell’Europa, lasciando quindi libertà di movimento ad altre grandi potenze, in primis (se non unico competitore) la Cina. L’Italia potrebbe però ritagliarsi uno spazio, trovandosi nel centro del Mediterraneo ed essendo il punto d’approdo degli itinerari concepiti dalla Cina, ma anche e soprattutto perché necessita di investimenti stranieri per rilanciare la propria economia ed ammodernare le proprie infrastrutture.

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