Accordi di Abramo, anche il Marocco aderisce al piano di Trump

Anche il Marocco aderisce agli Accordi di Abramo, voluti da Trump, divenendo parte di una alleanza filo-Usa che apre nuovi scenari nel mondo arabo. Accordi che non favoriscono certo le intenzioni del presidente eletto Biden, che intende riprendere con l’Iran la trattativa Jcpoa sul nucleare.

E se il 20 gennaio 2021 Donald Trump oltre a non presentarsi al giuramento del suo successore, non se ne volesse fisicamente andare dalla Casa Bianca? Dopo il giuramento, comunque, Biden avrebbe tutta l’autorità per farlo sloggiare, a norma di Costituzione e 20° emendamento. Lo farà? Una cosa del genere non è mai successa nella storia degli Stati Uniti, da quando John Adams, nel 1797, si insediò per primo alla Casa Bianca. A pochi giorni da questa imbarazzante eventualità, Donald Trump continua imperterrito a perseguire la sua politica ed a creare problemi al suo successore. Particolarmente in Medio Oriente e Nord Africa.

L’accordo con il Marocco è l’ultima novità (10 dicembre): dopo Emirati (Eau), Bahrein e Sudan, anche la monarchia maghrebina ha aderito agli Accordi di Abramo, promossi dall’Amministrazione Usa, per la normalizzazione dei rapporti diplomatici fra alcuni Paesi arabi e Israele. Tra i media che si occupano di politica statunitense in Medio Oriente, alcuni parlano di diplomazia transazionale, perché gli Usa hanno offerto a ogni Paese arabo che ha aderito alla proposta un “regalo di incoraggiamento”. Nel caso del Marocco, il riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale; per gli Eau era stata la vendita, trangugiata con difficoltà dagli israeliani, di 50 aerei da combattimento F-35; per il Bahrein vantaggi in termini di investimenti e incremento del turismo (dato che il petrolio si va esaurendo nel Regno); per il Sudan, probabilmente, la cancellazione della condizione di “stato terrorista” e l’afflusso di investimenti israeliani in campo agricolo e tecnologico. Trump, e suo genero Jared Kushner – il principale negoziatore degli Accordi di Abramo, come pure del Piano di Pace del Secolo fra Israele e Palestina –, sperano inoltre che a questi 4 Paesi arabi se ne uniscano ben presto altri, soprattutto Arabia Saudita e Pakistan, ma non solo.

E i palestinesi? Sia il Governo presieduto da Abu Mazen in Cisgiordania che quello di Hamas a Gaza sono da tempo indignatissimi per le profferte del Piano di Pace del Secolo, ritenute sfacciatamente filo-israeliane, ma ora accusano esplicitamente di “tradimento” della solidarietà araba verso la Palestina i Paesi che aderiscono agli Accordi di Abramo. E questo nonostante le rassicurazioni contrarie ricevute dai 4 (finora) contraenti.

Da europeo e cristiano, trovo inquietanti queste associazioni religiose tra le finalità perseguite e l’uso dei concetti di “pace” da un lato e di “Abramo” dall’altro: riferimenti che rivelano a mio avviso una concezione utilitarista e fondamentalista di contenuti e metodi tutt’altro che religiosi, e non solo in senso cristiano, ma certamente anche musulmano. Tanto più che di fronte a tutto ciò è difficile ignorare che questi accordi (o sarebbe meglio chiamarli contratti?) implicano a latere violazioni di diritti civili (penso ai poveri saharawi, gli abitanti del Sahara Occidentale, per esempio), vendite di armi (non solo gli F-35, ma gli arsenali forniti a israeliani e sauditi, per fare un altro esempio) e comunque legittimazioni diplomatiche a regimi assolutisti o decisamente autoritari. La domanda classica che Cicerone ci ha tramandato è: cui prodest?, chi ci guadagna e qual è lo scopo di questi accordi?

Con una sintesi efficace, così descrive la questione Pierre Haski, France Inter (riportato da internazionale.it dell’11 dicembre scorso): «Nelle nuove linee di frattura del mondo arabo il Marocco è vicino alle monarchie conservatrici del Golfo, che hanno scelto di aprire la porta a Israele per affrontare un nemico comune, l’Iran». Quindi, alla domanda di ciceroniana memoria la risposta che appare più gettonabile è che lo scopo di questi accordi, fortemente voluti da Trump, sia soprattutto un vantaggio per il caposaldo della politica trumpiana in Medio Oriente (o sarebbe meglio chiamarla ossessione trumpiana?): annientare l’Iran. Che significa anche lasciare delle sentinelle armate fino ai denti contro il nemico iraniano in vista del ritiro dei soldati statunitensi dal Medio Oriente. Ritiro promesso da Trump ai suoi elettori e non realizzato, come le tante promesse del tycoon che l’imminente leadership cinese sull’economia mondiale e lo stesso Covid hanno reso impraticabili.

Tanto più che il rivale Joe Biden ha dichiarato come punto fondamentale della sua politica estera in Medio Oriente la ripresa dell’accordo Jcpoa (sul nucleare iraniano), che aveva coinvolto con gli Usa, in un inedito sforzo di diplomazia collettiva, anche Ue, Russia e Cina.

Biden, il nuovo presidente statunitense che Trump continua a non voler riconoscere, si troverà di fronte ad un’alleanza stipulata dal suo predecessore, quella degli Accordi di Abramo, che non favorirà certamente la ripresa di un trattato Jcpoa con l’Iran, forse l’unica strada per evitare uno scontro ancora più duro e pericoloso con il regime degli ayatollah.

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