Voci di pace e di libertà

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Ogni libro dell’editrice Ave lo collego al volto di Zaccaria Negroni, uno dei suoi fondatori, che mi raccontava come, negli anni Trenta, finì nel carcere romano di Regina Coeli quale sovversivo affetto da mania religiosa. Così la questura catalogava il suo impegno di delegato nazionale dei giovani di Azione cattolica. Il testo di Anselmo Palini (Ave) ha l’impronta di questa ribellione interiore, pacifica e forte. Trecento pagine, in un formato originale che si può tenere in tasca per meditare, dialogando con testimoni di una ricerca di senso quanto mai urgente e attuale. È sempre ricorrente, infatti, anche in ambienti insospettabili, la tentazione di rivestire, allo stesso tempo, il ruolo di vittima e carnefice in relazioni ingiuste. Così gli scritti di Etty Hillesum, snobbati dagli editori fino al 1980, ci consegnano il profilo di una ragazza moderna dell’Europa secolarizzata, con una vita sentimentale inquieta, che rifiuta di salvarsi dai campi di concentramento osservando come solo gli ebrei ricchi, gli intellettuali possono nascondersi. La penetrazione nel mistero osceno del male spalanca abissi di luce. Contemplando il lamento dei neonati e la disperazione apatica e folle di queste poveri madri, Etty si apre a un colloquio diretto con Dio, affermando: Tocca noi aiutare te… forse possiamo contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini… cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Questa ragazza, con il dubbio di non poter promettere, ci è vicina come lo è lo zainetto pieno di libri che ha portato con sé fino alla fine. Libri conosciuti anche dai quasi duemila docenti italiani che, nell’anno accademico 1931-32, prestarono giuramento di fedeltà al regime. Un’intera classe intellettuale che decise di capitolare. Tutti, tranne tredici personaggi che Anselmo Palini cerca di strappare dall’oblio, dato che l’atto formale di sottomissione al potere, compiuto per sopravvivere, di solito non viene sanzionato dal senso comune. Pure tanta parte della Chiesa cattolica dell’epoca e il Partito comunista clandestino invitavano, in quegli anni, alla prudenza per mantenere tatticamen- te spazi di autonomia. Nel 1931 si trattava di perdere prestigio e posto di lavoro. E se una parte dei professori ribelli riuscì, per età, a godere della preziosa istituzione della pensione, gli altri si consegnarono alla precarietà. Un istinto fisiologico di conservazione che si può riconoscere nella ostilità con cui il mondo intellettuale italiano, segnato da una diversa egemonia culturale nel dopoguerra, ha rifiutato i capolavori del dissenso russo, come l’opera poetica di Anna Achmatova che Palini ci invita a conoscere. Il suo Requiem, canto di passione di un popolo oppresso, prende spunto da 17 mesi di veglia mattutina davanti al carcere per chiedere notizie del figlio imprigionato. Come Etty, Anna, che è stata al centro del vivace clima culturale europeo del primo Novecento, ha deciso di non fuggire. Percepisce il valore della parola come atto di resistenza. Impara a memoria e distrugge ogni traccia scritta delle sue liriche e così chiede di fare ai suoi amici. Depositato nel cuore di molti, il ciclo di versi viene pubblicato in Russia solo nel 1987. Storie di indicibili crudeltà, tracce di una rivoluzione sociale tradita, che non possono essere giustificate solo col terrore staliniano, dato che l’architettura dell’universo concentrazionario sovietico, come testimonia la vicenda della Achmatova, già accompagnava Lenin, nel 1917, nel suo viaggio in treno verso la Russia in rivolta. Mentre le fiamme accerchiano la casa, molti cattolici, spesso buoni e ferventi, impegnano tutto il loro zelo alla cura delle rose in giardino. Così osservava la realtà, nel 1936, in un pubblico discorso, Josef Mayr Nusser, giovane sudtirolese, padre di famiglia e segretario dell’Azione cattolica. Studiando con i suoi amici i testi di formazione nazisti si era deciso a contrastare l’idolo terribile che viene dal Nord. Il giovane altoatesino, che non aveva frequentato l’università e lavorava da contabile in una ditta privata, in uno scritto del 1938 affermava che l’uomo di oggi può essere convinto non da conferenze o prediche, ma solo dalla vita dei cristiani; questo è l’unico libro nel quale si vuole leggere e al quale si crede oppure no. Così quando, con l’occupazione nazista del Tirolo, Josef è arruolato a forza nelle SS, egli, davanti ad un maresciallo incredulo e ai compagni atterriti, rifiuta di giurare fedeltà al Führer. Le lettere scambiate con la moglie Hildegard sono un trattato sulla bellezza e la tenerezza dell’amore coniugale. Una corrispondenza che continua nel 1979, quando un ex soldato tedesco vince il pudore e scrive alla moglie ricordando quel traditore stremato ma sempre disponibile con tutti, trovato morto con il Vangelo e il rosario in mano: Sono convinto di aver vissuto assieme a un santo che è il mio più grande intercessore presso Dio. Neanche il centurione manca nella storia di questo impiegato che terminava le lettere dichiarandosi con tutto il mio amore, in fedeltà, Peppi. Voci di pace e libertà è, dunque, un invito a trascurare le rose del nostro giardino. Quel particulare che Machiavelli osservava come la forza vincolante che ci distoglie dallo sguardo dell’altro, ma che, a volte, può aiutare nella carriera.

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