Vinci l’indifferenza e conquista la pace

È uscito il messaggio di papa Francesco per la 49° Giornata mondiale della pace. Il titolo contiene due azioni: vinci l’indifferenza e conquista la pace. La vera sfida è vincere la cultura dell’indifferenza
Guerre

Quella che papa Francesco ha chiamato Terza guerra mondiale fatta a pezzi, ha il suo fondamento nella cultura dell’indifferenza, nel non riconoscere l’altro nella sua alterità violata e ferita. Al centro della globalizzazione dell’indifferenza sta la globalizzazione della guerra, che sembra sedurre il cuore di molti.

 

Il papa, in questo drammatico contesto, chiama alla speranza, come grande via alla pace, che è «dono di Dio e opera degli uomini. La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini, che sono chiamati a realizzarlo». Ecco speranza e pace sono due punti dell’unico mistero di Dio.

 

Se oggi sono evidenti i segni della guerra e della sua cultura, ci sono anche i segni di speranza e di pace: l’incontro dei leader mondiali, nell’ambito di COP21, il summit di Addis Abeba per lo sviluppo sostenibile e infine l’adozione da parte delle Nazioni Unite dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Come dire, occasioni significative per confermare una rinnovata cultura della mondialità.

 

Per la Chiesa cattolica il 2015 significa ricordare la conclusione del Concilio Vaticano II, che papa Giovanni aveva deciso di aprire per un nuovo dialogo tra Vangelo e Storia, che la Chiesa intendeva introdurre all’interno dell’umanità. Al centro, dice papa Francesco, due documenti fondamentali del concilio: Gaudium et spes e Nostra Aetate. Essi rappresentano una lettura amica della storia, cordiale e condivisa con tutte le persone di buona volontà.

 

Il Giubileo della misericordia si muove nella stessa direzione e Francesco invita «la Chiesa a pregare e lavorare, perché ogni cristiano possa maturare un cuore umile e compassionevole, capace di annunciare e di testimoniare la misericordia, di perdonare e di donare, di aprirsi a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica, senza cadere nella indifferenza, che umilia nell’abitudine, che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge».

 

Per uscire dalla cultura della indifferenza e della tiepidezza, della abitudine e del disimpegno, è necessario passare all’altra riva della misericordia e dell’incontro, è necessaria la conversione del cuore. Qui il papa ripropone l’icona di Caino e di Abele. Caino non ha cura del fratello e lo uccide, non ponendosi più come suo guardiano ed essendo indifferente alla sua storia e alla sua vita. Non gli preme Abele, è indifferente alla sua sorte.

 

Mentre Dio chiede a Caino: «“Dove è Abele tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so, sono io guardiano di tuo fratello?”. Riprese Dio: “Che hai fatto?”. La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo». L’indifferenza è sempre e prima di tutto indifferenza verso il fratello, di cui non ci preme in nessun modo la sorte. Se Caino è indifferente alla sorte di Abele, Dio non è indifferente alla sorte di Abele, il cui sangue grida sino a lui e Dio non è indifferente neanche alla sorte di Caino, a cui pone un segno, perché non venga ucciso.

 

Dio, nella storia con il suo popolo, non è indifferente e dice a Mosè: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto, ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco, infatti, le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano di Egitto e per farlo uscire da questo Paese verso un Paese bello e spazioso e verso un Paese dove scorre latte e miele» (Es 3,7-8). Ecco i verbi di Dio, di un Dio che agisce e fa differenza e pone la differenza del suo agire nella misericordia e nel perdono.

 

L’agire di Dio che si compie in Gesù. Ecco l’agire di Gesù, che si preoccupa per le folle affamate, e lo sguardo di Gesù è rivolto anche alla creazione, ai pesci del mare e agli uccelli del cielo. Gesù piange per la morte del fratello e si carica di tutte le infermità del popolo. Gesù è il volto della misericordia di Dio. Papa Francesco dice in questo testo che «la misericordia è il cuore di Dio», là dove nasce il suo vivere e morire per noi e per tutti. Dice papa Francesco che Gesù ci avverte: «L’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni».

 

Gesù ci perdona dalla croce. Ecco la grande azione che genera il grande perdono. Fin lì arriva la misericordia di Gesù, l’agire che porta tutte le differenza della storia, non per negarle, o per cancellarle, ma per rendere visibile la forza mite e umile del perdono, che non è indifferente, ma realizza e rende visibile il mistero di Dio, che si prende cura, nella sua misericordia, della vita di tutti e di ciascuno, delle persone e dei popoli.

 

Dice papa Francesco che «la prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore che giunge al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre». Da qui discende l’impegno per una vita solidale e condivisa. «Un vero programma di vita, uno stile di comportamenti nelle nostre relazioni, gli uni con gli altri. Ciò richiede la conversione del cuore: che cioè la grazia di Dio trasformi i nostri cuori di pietra in un cuore di carne, capace di aprirsi agli altri con una autentica solidarietà».

 

Dunque dalla misericordia al perdono, alla conversione della solidarietà, per sconfiggere l’indifferenza, che è la grande malattia dell’occidente. Il papa ricorda l’impegno delle famiglie, dei figli, degli educatori, l’azione delle ong (organizzazioni non governative), che intervengono nei disastri umanitari prodotti dalla guerra, le associazioni, che difendono i diritti dei rifugiati e dei migranti.

 

Il papa definisce tutto questo come le nuove opere di misericordia spirituale e corporale. Non si tratta di configurare un nuovo attivismo socio/religioso, ma di accogliere dalla misericordia di Dio la via del perdono, che unisce, in un unico mistero, vittime e carnefici e ci chiama all’unico banchetto della pace.

 

Ecco il vincere l’indifferenza e il conquistare la pace. E la conquista della pace pone al centro le vittime della guerra, ma anche i prigionieri, i migranti, i disoccupati e i malati. Dunque una attenzione particolare per tutti coloro che sono i feriti della guerra.

 

Il papa chiede l’abolizione della pena di morte, là dove ancora esiste e al tempo stesso domanda che si inseriscano pene alternative alla detenzione carceraria. In positivo si chiede lavoro, terra e tetto a chi questo non è in grado di avere, con particolare attenzione per i disoccupati e per le donne (ndr, sorprendentemente il papa sembra dimenticarsi dei disabili, i più fragili tra i fragili sul versante del lavoro).

 

Dunque è possibile vincere l’indifferenza e conquistare la pace, tramite la conversione e la grazia del grande perdono. Non si tratta solo di agire, ma di essere «secondo la misericordia, che è il cuore stesso di Dio». Essa indica il santo viaggio della pace, il sentiero di Isaia, che pone al centro il perdono che cambia il cuore e nasce da un cuore cambiato.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons