«Accogliere i migranti è una virtù»

L’appello dei vescovi delle diocesi del Lazio: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. I migranti da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un “prima” o di un “dopo” sulla base dell’appartenenza nazionale

«Quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell’aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale». Per evitare che la cultura dello scarto e del rifiuto dilaghi, e far sì che prevalga invece «una cultura “nuova” fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà», i vescovi del Lazio hanno scritto una lettera aperta ai fedeli, che il giorno di Pentecoste è stata letta in tutte le chiese delle diocesi della Regione.

«Purtroppo – si legge nel documento – nei mesi trascorsi le tensioni sociali all’interno dei nostri territori, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze, hanno raggiunto livelli preoccupanti. Desideriamo essere accanto a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà: giovani, anziani, famiglie, diversamente abili, disagiati psichici, disoccupati e lavoratori precari, vittime delle tante dipendenze dei nostri tempi. In tutte queste dimensioni di sofferenza non c’è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. È proprio a costoro che va l’attenzione del cuore dei credenti e – vogliate crederlo – dell’opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali».

La posizione dei vescovi del Lazio trova conferma nelle parole del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti che, in un’intervista concessa domenica a Paolo Rodari di Repubblica, ha affermato che «la solidarietà non è un’opera pia, ma una necessità democratica, una priorità civile; salvare vite umane non è un gesto di generosità, ma è la via per salvare la dignità della propria umanità». Le istituzioni, ha sottolineato Bassetti, dovrebbero «dare l’esempio, non scaricare su altri le proprie responsabilità».

La Chiesa italiana, ha detto ancora il presidente della Cei, «è una presenza a servizio di tutti» e «cercare di staccare i fedeli dai vescovi e soprattutto dal papa è una manovra sbagliata e controproducente. L’unità della Chiesa è qualcosa di profondo e radicato: rifiuto l’idea che la Chiesa possa essere portata sul piano della battaglia partitica». E a proposito della polita, Bassetti ha spiegato a Rodari che «non basta dirsi cattolici per diventare De Gasperi; la coscienza della gente è ferita e condizionata da un linguaggio aggressivo e da troppi messaggi di odio. Una politica fondata sulla paura e sulle promesse facili è destinata a rovinare quel poco che ancora resta dell’unità nazionale».

una-donna-col-suo-bambino-accolti-dai-medici-mentre-scendono-dalla-nave-aquarius-di-sos-mediterranee-con-a-bordo-604-migranti-foto-ansaSulla stessa linea, i vescovi del Lazio invitano i fedeli ad essere coscienti che «ogni povero – da qualunque paese, cultura, etnia provenga – è un figlio di Dio. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un “prima” o di un “dopo” sulla base dell’appartenenza nazionale». Nella logica della Chiesa, dunque, non può esistere un “prima gli italiani” o chiunque altro.

Il rischio, spiegano i vescovi, è che «da certe affermazioni che appaiono essere “di moda” potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero è come noi, è un altro “noi”: l’altro è un dono. È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza».

I vescovi del Lazio invitano dunque a proseguire il cammino di comunità credenti, sia con la preghiera che con atteggiamenti di servizio nella testimonianza di «una virtù che ha sempre caratterizzato il nostro Paese: l’accoglienza verso l’altro, soprattutto quando si trovi nel bisogno. Proviamo a vivere così la sfida dell’integrazione che l’ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore: non lasciamo che ci sovrasti una “paura che fa impazzire” come ha detto papa Francesco».

Una paura, sottolineano, che non coglie la realtà, perché il male che attenta alla nostra sicurezza proviene da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere. Le diocesi laziali, attraverso i centri di ascolto della Caritas e tante altre realtà di solidarietà e di prossimità, «danno quotidianamente il proprio contributo per alleviare le situazioni dei poveri che bussano alla nostra porta, accogliendo il loro disagio. Tanto è stato fatto e tanto ancora desideriamo fare, affinché l’accoglienza sia davvero la risposta ad una situazione complessa e non una soluzione di comodo (o peggio interessata)».

I vescovi invitano le comunità diocesane a promuovere – con spirito di discernimento – «una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e – soprattutto – originati dalla Parola evangelica». Non nascondono le problematiche legate al tema dell’accoglienza dei migranti e spiegano di conoscere «istituzioni che pensavamo si occupassero di accoglienza, e che invece non hanno dato la testimonianza che ci si poteva aspettare».

«Carissime sorelle e carissimi fratelli, sentiamo il dovere – concludono i vescovi – di rivolgere a tutti voi un appello accorato affinché nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto, ma si affermi una cultura “nuova” fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà. Invochiamo per tutti noi il dono incessante dello Spirito, che converta i nostri cuori per renderli solleciti nel testimoniare un’accoglienza profondamente evangelica e la gioia della fraternità, frutto concreto della Pentecoste».

 

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