Verde Cuma

L'itinerario di questo fine settimana ci immerge nella natura del litorale cumano, a cui fanno da sfondo i siti archeologici.
cuma

Siamo in uno dei siti più mitici e affascinanti della classicità: i Campi Flegrei. E precisamente ai piedi dello sperone tufaceo su cui sorge l’acropoli di Cuma, la colonia fondata dai greci di Ischia intomo al 730 a.C., e che fondò a sua volta Napoli e fu sede del famoso oracolo. I cultori dell’archeologia mi scuseranno se qui, una volta tanto, le rovine faranno più da sfondo all’ambiente naturale: esso è tale, infatti, malgrado il forte depauperamento e il degrado causati dall’uomo, da meritare un primo piano. Godiamoci dunque, sul filo della storia, questa immersione nei tre principali ambienti naturali cumani: la duna costiera, la macchia mediterranea e la zona umida.

 

Profondamente mutato rispetto all’antico, interrato il porto, oggi il litorale di Cuma si presenta basso e sabbioso come la maggior parte delle coste flegree. Subito dopo una prima fascia battuta dalle onde, e perciò arida, si trovano associate due specie annuali e succulente: la ruchetta di mare e la salsola. Più all’interno prospera la gramigna delle spiagge, che grazie al suo esteso apparato radicale riesce a trattenere la sabbia sospinta dal vento.

 

Al riparo di queste prime dune più mobili, mescolato alla pastinaca marina, all’erba medica e alla camomilla di mare, si sviluppa lo sparto pungente: graminacea perenne, utilizzata talvolta per stabilizzare le dune a motivo del suo lungo fusto sotterraneo. Su quelle più interne, e quindi meno esposte all’azione del vento, subentrano altri arbusti quali il ginepro coccolone, noto per i frutti utili ad aromatizzare il gin e come condimento; il lentisco, un sempreverde le cui foglie venivano usate nell’antichità per colorare le stoffe di giallo; il mirto e il rosmarino, sacri entrambi ad Afrodite presso greci e romani; l’alaterno e tutta una profusione di cisti dai fiori bianchi e rosa. Mentre fitti intrecci formano la clematide e il caprifoglio, rampicanti con fiori di colore bianco e crema, dall’acuto profumo.  Quanto agli aspetti faunistici, la duna è frequentata abitualmente dal gabbiano comune e, specie nei mesi invernali, da un passeraceo, la ballerina bianca. Oltre ad offrire ricetto ad altri uccelli nei periodi migratori.

 

Dalla città bassa, dove è ripresa l’indagine archeologica nella zona del foro, si sale a quella alta percorrendo la via sacra. Sotto la sua scorza di tufi gialli e grigi, l’acropoli è tutta un labirinto di cunicoli, grotte, passaggi di carattere difensivo o sacro, fra cui il celebre Antro della Sibilla. Nel suggestivo itinerario, che da una oscurità da ipogeo fa riemergere alle terrazze assolate dei templi di Apollo e Giove, ci accompagna costantemente la selvaggia bellezza della natura. Come ai piedi delle fortificazioni e nei pressi della torre bizantina è rigoglioso l’acanto, pianta erbacea perenne diffusa in molte zone ombrose del Mediterraneo.

 

Dalla macchia bassa a quella alta, il passo è breve: subentra infatti, sui costoni dell’acropoli, una vegetazione in cui – assieme a un sottobosco formato, fra l’altro, da ginestre, fìlliree, corbezzoli – predomina il leccio, essenza tipicamente mediterranea. In epoca classica il suo legno, duro e pressoché incorruttibile, era ricercato per costruzioni navali ed opere sotterranee, mentre col tannino estratto dalla corteccia si provvedeva alla concia delle pelli e del cuoio. Né mancano il carrubo, leguminosa del terziario coltivata per uso alimentare, e il pino domestico, da pinoli, caratteristico anch’esso dei climi mediterranei. La ricca fauna è rappresentata da alcuni mammiferi come il coniglio selvatico, il riccio e la volpe. Ma non illudiamoci di incontrarli durante la nostra visita: sono animali che sfuggono l’uomo. Tra gli uccelli, abbondano passeracei come la capinera, l’occhiocotto, la sterpazzola; numerose anche le cince e alcuni corvidi: la cinciarella e la cinciallegra, la gazza e la ghiandaia.

 

A nord dell’acropoli, nella piana di Licela, ad est, attorno al lago d’Averno, e a sud, dove si trova il lago Fusaro (l’antica Palus Acherusia), si estendevano zone acquitrinose e malsane, che già i greci tentarono di bonificare. Il lago di Licola è stato prosciugato soltanto agli inizi del secolo scorso, tuttavia la zona – dove fra l’altro erano necropoli che hanno restituito splendidi corredi – continua a mantenersi prevalentemente umida, grazie ai numerosi canali di scolo che l’attraversano: possiamo così osservare la tipica cannuccia di palude, la tifa, il giunco fiorito e la carice. In alcuni tratti fioriscono la salciarella, il giglio palustre e la mentuccia d’acqua.

 

Vivono in questo ambiente l’usignolo di fiume e la gallinella d’acqua, che nidifica nei canneti: da essa prese il nome la famosa Silva Gallinaria dei romani, di cui l’attuale fitto leccete rappresenta appunto un residuo. In primavera e autunno fanno sosta qui anche l’airone cenerino e la garzetta, nonché la beccaccia. Naturalmente, nelle acque melmose dei canali rane verdi e bisce sguazzano ch’è un piacere. Ma oltre alla natura selvaggia c’è quella "domestica" dei campi coltivati, di orti e frutteti: anche qui si può scoprire qualcosa dell’antica Cuma. Come l’anfiteatro situato a sud, fuori dalle mura urbane, nel cui ovale prosperano, assieme ad altre colture, pacifici vigneti.

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