Uscire dalla guerra con un governo mondiale

Non si tratta di entrare dentro un conflitto armato perché già ci stiamo dentro, come dimostrano i fatti di Parigi e la paura che sale nella nostra società. Non abbiamo bisogno di soluzioni emotive che non risolvono i problemi ma di “un salto di qualità” per non essere distrutti. Intervista al professor Fulvio De Giorgi
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Dopo la strage di Parigi non sappiamo davvero cosa ci attende. La Francia è stata colpita nella sua Capitale pur avendo una spesa militare in linea con la sua ambizione, che le fa possedere gli ordigni nucleari, ma la risposta del presidente Hollande, finora in grave crisi di consensi elettorali, è stata quella di aumentare ancora le spese della difesa,  continuare i bombardamenti e muovere la De Gaulle. Nel discorso del presidente francese dopo la strage, si fa riferimento alla libertà minacciata dai barbari ma è assente ogni riferimento alla uguaglianza (negata nelle immense periferie abitate dagli immigrati) e alla fraternità come analisi e tensione ideale. Ne parliamo con Fulvio De Giorgi, attento conoscitor del pensiero politico del Novecento, professore ordinario di Storia dell’educazione e della pedagogia all’Università di Modena Reggio Emilia e direttore del Centro di studi e ricerche “Antonio Rosmini” di Trento Rovereto.

 

 

 

Cosa rivela del nostro Occidente laico e tecnocratico, la reazione della Francia di Hollande?

 

«La reazione francese, se pur comprensibile a livello emotivo, ha avuto toni da antico bonapartismo (sia sul piano della politica interna, quasi con la prefigurazione di una VI Repubblica, attraverso una modifica costituzionale, sia sul piano della politica internazionale). Ma le reazioni emotive non calcolano le conseguenze (negative) di lungo periodo: si vedano i disastri provocati dalla distruzione americana dell’Iraq e quelli, che più ci preoccupano come italiani, provocati dalla distruzione – ancora col protagonismo francese – della Libia. Ci attenderemmo, francamente, dalla Francia un atteggiamento più illuminista, cioè di più precisa analisi razionale della complessa situazione (che nasce da conflitti intra-islamici, all’interno del mondo sunnita e tra sunniti e sciiti), di tutte le variabili implicate, dei probabili effetti di ogni scelta. Non so se abbia senso parlare di Occidente (dove mettiamo Russia, Turchia, Iran, ecc.?). Certo ha senso parlare e positivamente di laicità: è il fondamento di ogni integrazione democratica.

 

 

 

Come si può rispondere ad una certa analisi che propone il paragone tra la situazione attuale e l’opposizione al nazifascismo per giustificare una “guerra giusta” che prima o poi dovremo combattere?

«Sul piano astratto e astorico potremmo esercitarci nei paragoni storici più peregrini (con l’Impero romano e i barbari o con le guerre puniche o altro ancora). Resta che oggi, anche rispetto alla prima metà del Novecento, il mondo è molto più interdipendente e interconnesso. Siamo già – come dice il papa – in una ‘terza guerra mondiale’, ma ‘a pezzi’ che sono interconnessi in modo complesso. Dobbiamo stare attenti al modo in cui modifichiamo la modalità della nostra ‘connessione internazionale’ (diplomatica? militare-logistica? aggressiva e genocidaria? di blocco economico?), perché gli effetti sono globali. In ogni caso non si tratta di capire se dobbiamo o non dobbiamo entrare in guerra, visto che ci siamo già: si tratta di capire come possiamo uscire (globalmente) dalla guerra e avere la pace. In questo senso, è ragionevole un’escalation militare?».

 

 

 

Quale altra politica realisticamente si può e deve proporre oggi in Italia e a livello internazionale?

«A me pare che, sul piano interno europeo, ci voglia maggiore integrazione (che significa possibilità di lavoro e riduzione della frustrazione sociale, istruzione, dialogo interculturale sulla base della laicità), mentre sul piano internazionale occorre comporre in una larga unità i Paesi che si riconoscono nell’Onu (e avviare poi tante misure, come per esempio la lotta al traffico di armi). Ma siamo sempre sul breve periodo. Ci è richiesto un vero “salto qualitativo”, pena la distruzione non della Francia o dell’Italia, ma del vivere civile e poi dell’umanità stessa. Quattro grandi problemi vitali mondiali sono oggi davanti a noi: la ‘terza guerra mondiale a pezzetti’; la crisi economica, con ciò che essa comprende (dal potere incontrollato della finanza mondiale agli enormi debiti che schiacciano i Paesi poveri); le epocali migrazioni di massa dagli inferni del Sud ai paradisi (l’espressione può far sorridere solo chi è ipocrita) del Nord; il surriscaldamento del pianeta e più in generale gli equilibri della biosfera che rischiano di essere compromessi in modo irreparabile. Ciò significa che – come ripetono i papi da Giovanni XXIII a Francesco – c’è bisogno di un vero Governo mondiale. Su questo dovremmo concentrare – a tutti i livelli – i nostri sforzi: per avere pace, giustizia, solidarietà e salvaguardia del creato. Quattro aspetti che sono interconnessi».

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