Unicredit, tra visione locale e internazionale

Più che l'entrata dei capitali libici, il vero nodo della questione sembra essere la contrapposizione tra una visione localistica ed una internazionale del sistema bancario.
Alessandro Profumo

«Dispiace vedere uscire di scena un grande dirigente che non solo si è dimostrato capace di far crescere la banca fino a dimensioni internazionali, ma ha mostrato uno stile diverso da quello delle decisioni concordate nei salotti buoni tra politica e banche». Benedetto Gui, ordinario di economia all’Università di Padova, inizia riconoscendo i meriti di Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit. Ma non manca di aggiungere che «in questo suo voler essere indipendente ha scavalcato presidente e azionisti, andando anche al di là delle sue competenze. E da questo punto di vista, le condizioni per dimissionarlo c’erano».

 

Al di là delle illazioni che si sono sprecate in queste ore sulla vicinanza di Profumo ad una parte politica piuttosto che a un’altra, e a un’ipotetica “battaglia” tra libici e tedeschi, Gui preferisce non esprimersi: «Non conosco la situazione nel dettaglio, ma non ritengo siano queste le vere ragioni di quanto è accaduto a Profumo. Credo vadano cercate piuttosto nel suo voler rompere con i condizionamenti esterni».

 

Tra chi punta il dito contro la Libia, chi contro la Germania, e chi – come il sindaco di Verona Fabio Tosi – si preoccupa che i primi possano «non fare gli interessi di Verona e del Veneto», verrebbe da chiedersi se la questione non sia proprio quella del “padroni a casa nostra” anche nel caso degli istituti di credito. «Indubbiamente – riconosce Gui – in questa vicenda si stanno contrapponendo una visione internazionale ed una localistica del sistema bancario: non dimentichiamo che la Cariverona è un grosso azionista di Unicredit». La questione è stata sollevata anche da Francesco Giavazzi, che nel suo editoriale sul Corriere della sera fa notare come «il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali». E «per creare una banca unica è necessario smantellare tanti piccoli feudi, ciascuno con i suoi interessi locali».

 

Insomma, si ripropone il vecchio dilemma che, dalle politiche sull’immigrazione a quelle economiche, ci chiama, nella tanto decantata era della globalizzazione, a trovare il giusto equilibrio tra il nostro orticello e il resto del mondo.

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