Una nuova narrazione

Marco Luppi

In questi giorni pensare alla politica del nostro Paese spalanca scenari ai quali poche volte capita di assistere nel corso dell’esperienza, pur sempre breve, di una generazione. Si tratta di una di quelle fasi che vengono definite di passaggio, periodizzanti, una fine che prelude ad un inizio. E si apre alle definizioni: fine del berlusconismo, fine del bipolarismo, inizio di una fase di responsabilità nazionale, etc. Nella terminologia che descrive i concetti è insita la radice stessa della crisi: si parla di assunzione di responsabilità, di solidarietà nazionale, di mutuo accordo, quasi a richiamare la materializzazione di una realtà tra i partiti, tra le personalità politiche che prima non c’era, che non sembrava utile o necessaria al corretto svilupparsi della dinamica politica, parlamentare, governativa.

Le evidenti condizioni di emergenza economica hanno tolto la maschera ad una classe dirigente che rischiava di essere non solo giudicata, ma travolta dalle contestazioni, dai preoccupanti segni di cedimento nella fiducia dei cittadini circa l’istituzione dei partiti, il metodo democratico. Non a caso, in diverse circostanze negli ultimi giorni è capitato di leggere il paradosso dell’intellettuale francese Emmanuel Todd: «A volte, per difendere la democrazia, occorre difendere la democrazia da se stessa».

Nel giro di poche ore è balzato evidente come colui – il prof. Monti – che sembra chiamato ad assumersi responsabilità istituzionali ha portato semplici ma basilari modifiche: linguaggio pacato, toni meno definitivi, ricerca di una prassi che consenta di assumere responsabilmente le redini del Paese. Le prime espressioni di Monti sono state di profondo rispetto per il Parlamento e per le forze politiche, di cui intende «valorizzare l’impegno comune», sono parole della sua prima conferenza stampa. Interessante, vero? Spesse volte non esiste maggiore discontinuità della normalità, del bon ton che fa riferimento al rispetto delle istituzioni, all’accettazione dell’altro; a maggior ragione se questi è un competitor politico che non può essere escluso dalla ricerca del bene comune, di spazi in cui responsabilmente e concretamente si deve puntare ad un percorso di recupero dei fondamentali economici e di una stabilità sconosciuta da troppo tempo.

Il Paese ha bisogno di ripartire dalla fiducia, dall’ottimismo che passa inevitabilmente attraverso sacrifici, ammodernamenti, processi di sviluppo e riforme che, lo abbiamo pensato tutti, non sono né di destra né di sinistra. E’ importante però che la classe politica si assuma la responsabilità di dire verità scomode, di chiamare le cose con il proprio nome: tagli, tasse, lotta alle evasioni. E’ inudibile sentire che una delle motivazioni che sta dietro alla scelta di un governo di soli tecnici possa essere quella di bypassare una classe politica titubante nel scegliere la strada delle riforme, per paura di perdere il consenso elettorale.

Il Paese appare già oltre: qui non si tratta di rendite di posizione, perché il default può travolgere tutto e tutti. La storia ci insegna che i governi di unità nazionale (vedi il III Governo Andreotti del luglio 1976-marzo1978, durante una fase acuta della lotta al terrorismo), o quelli di grande coalizione (come il primo governo Merkel in Germania nel periodo 2005-2009), sono necessari quando si dimostra impossibile governare con le sole forze politiche della coalizione che si è presentata alle elezioni; oppure sono utili per affrontare fasi di transizione democratica nelle quali risulta indispensabile svelenire il clima politico e camminare compatti verso la stessa direzione. Siamo in una fase che domanda prima di tutto sacrifici e recupero di competitività economica; parallelamente sarà necessario rivedere in parte le regole del gioco (a cominciare dalle riforme istituzionali e dalla legge elettorale). E’ il momento in cui mostrare lungimiranza e buona volontà, valori condivisi per tornare a poter onestamente competere alla guida del Paese.

Invece il passo indietro, più che quello in avanti, sembra tentare la classe politica e questo produce ancora pericolosi sbandamenti… La crisi morde a molti livelli e chi chiede sacrifici (la classe politica) li deve anche fare, per recuperare legittimità. La crisi è globale e richiede risposte globali, che tuttavia debbono calarsi in decisioni nazionali. Il consenso da trovare e il percorso da seguire dovrà superare la verifica del sostegno parlamentare, ma la maggioranza di cui il governo avrà bisogno nei prossimi anni non sarà solo politico-parlamentare, ma parte dalle scelte di ogni cittadino, che speriamo non perda la speranza e la pazienza.

 

Marco Luppi

Dottore di ricerca in Storia contemporanea

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