Una democrazia matura messa alla prova

Le violenze che hanno preceduto la consultazione elettorale, non hanno causato incidenti nei seggi. «Segno del percorso di un intero popolo», commenta Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese
Elezioni in Senegal

Le violenze dei giorni scorsi, in cui si erano registrati un morto e diversi feriti, avevano fatto temere il peggio: ma la prima tornata delle presidenziali in Senegal si è svolta senza incidenti di rilievo, con un'affluenza ai seggi stimata oltre il 60 per cento. A portare la gente in piazza era stata la ricandidatura per il terzo mandato dell'ottantacinquenne presidente uscente Abdoulaye Wade, che gli sarebbe preclusa dall'attuale Costituzione; una legislazione entrata però in vigore dopo l'inizio del suo primo mandato, e interpretata dai giudici – che alcuni temono siano però stati corrotti da Wade – in senso non retroattivo: pertanto il limite di due mandati si conterebbe dalla sua seconda elezione. Di qui il timore che il presidente voglia perpetuare il suo potere, magari – asseriscono alcuni – candidando il figlio dopo di lui. Le manifestazioni di protesta si sono dunque susseguite, portando anche all'arresto di diversi partecipanti e oppositori politici.
 
Fortunatamente, però, la lunga tradizione democratica del Senegal – dove le elezioni si sono sempre svolte sin dall'indipendenza nel 1960 – ha avuto la meglio, e le consultazioni si sono tenute regolarmente. Secondo i risultati ancora provvisori, si andrà al ballottaggio il 18 marzo, poiché nessuno dei 14 candidati ha ottenuto la maggioranza assoluta: a giocarsi l'elezione sarebbero quindi Wade, con il 28,7 per cento, e Macky Sall, con il 26,5. Uno scarto di pochi punti che testimonia una frammentazione senza precedenti nel panorama politico del Senegal, ma anche la maturità del suo popolo: ce lo spiega Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese di Firenze.
 
Che notizie dirette ha dal Senegal?
«Sono in contatto con un gruppo di senegalesi che sono rientrati  in patria per le elezioni, e devo ammettere che stamattina ho tirato un sospiro di sollievo: non avevo dormito al pensiero che si potessero ripetere le violenze dei giorni scorsi, ma fortunatamente mi è stato confermato che tutto è tranquillo. Il che sottolinea ulteriormente la maturità del popolo senegalese: la partecipazione è stata massiccia, e ciascuno ha potuto votare liberamente. Certo siamo solo all'inizio: tra due settimane c'è il ballottaggio. Ma al di là di chi ne uscirà vincitore, la prima vittoria è quella del popolo senegalese».
 
Tra i senegalesi della diaspora, in particolare in Francia, l'affluenza ai seggi è stata particolarmente alta: come ha partecipato la comunità italiana?
«Anche qui l'affluenza è stata massiccia: a Firenze, su circa mille iscritti, hanno votato oltre 900. Rispetto alle altre tornate elettorali si è notata una maggiore frammentazione del voto: al primo mandato Wade era arrivato ad ottenere anche il 90 per cento, mentre ora sia lui che il principale sfidante sono attestati poco sopra il 20. La diaspora serve anche a questo: grazie al dibattito politico soprattutto su web, la democrazia è diventata più matura. Sono nati diversi siti e blog dedicati alle elezioni, che hanno stimolato un confronto costruttivo che vent'anni fa sarebbe probabilmente finito con insulti. Gli espatriati, avendo visto di persona un altro modo di fare politica, possono essere un faro in questo senso, soprattutto se rientrano in Senegal».
 
Uno degli aspetti maggiormente sottolineati, infatti, è la lunga tradizione democratica del Paese: può davvero essere messa in pericolo da un uomo solo?
«È interessante ricordare che sin dal Settecento il Senegal è stato diviso in regni, ciascuno dei quali eleggeva il suo sovrano. Si tratta dunque di una tradizione radicata, tanto è vero che, anche durante il dominio coloniale francese, esistevano dei partiti politici. Di fronte al timore che la democrazia venisse messa in pericolo da un solo uomo, la gente ha reagito. Personalmente non credo ci sia il rischio di un colpo di Stato, come alcuni paventano: piuttosto ci sarà una battaglia legale sui risultati elettorali, dato che diversi candidati sono anche giuristi. Certo la democrazia è stata messa a dura prova, e questo non è un buon segno: bisogna mantenere alta la guardia, soprattutto in vista del ballottaggio».
 
Quale scenario per il dopo elezioni?
«Chiunque verrà eletto dovrà affrontare tre questioni fondamentali: innanzitutto quella del debito estero che, nonostante una previsione di crescita del 5 per cento, minaccia seriamente l'economia del Paese; poi quella sociale, perché servirà un paziente lavoro di ricomposizione delle lacerazioni generate dalle violenze pre-elettorali. Per la prima volta sono state coinvolte persino le istituzioni religiose: i poliziotti sono entrati in una moschea durante una manifestazione, e anche la Chiesa ha reagito a quello che è stato visto come un sopruso. Il terzo aspetto urgente da affrontare è quello della corruzione, che ha raggiunto livelli inaccettabili».

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