Un uomo per la pace

Prima di Ratzinger, è stato l’ultimo papa a chiamarsi Benedetto. Lo fece, ricordando un suo predecessore nella diocesi bolognese, Benedetto XIV Lambertini, il pontefice più aperto del secolo XVIII. Lui, Giacomo Della Chiesa, era un aristocratico genovese, lavoratore infaticabile nella Curia romana, intelligente e aperto: obbediente ma non allineato con il modus vivendi di Pio X, fin troppo energico nel difendere il cattolicesimo dal cosiddetto modernismo, tanto da venire così promosso arcivescovo a Bologna e creato cardinale appena in tempo per esser eletto – di stretta misura – papa nel settembre 1914. Il piccoletto, come lo si chiamava per la gracilità fisica, di carattere comunque ne aveva da vendere, sapeva infatti essere tenace e fermo nelle proprie idee. In quei mesi, con la grande guerra in atto, ed un fronte cattolico non omogeneo fra nazionalisti accesi, patrioti che vedevano uno scopo missionario del conflitto e noninterventisti tacciati di viltà dai vari potentati e organi di stampa affiliati, ci voleva davvero qualcuno capace di pensare in grande, porsi con superiore distacco al di sopra delle parti, in nome della fede e della ragionevolezza. L’idea fissa di Benedetto era una novità, anche per la chiesa di allora:non c’era nessuna guerra giusta, ma anzi la necessità assoluta che tutti i popoli imparassero a vivere in pace. Una rassegna romana, tuttora visibile al Gate Termini fino al 31 luglio, fissafissa in modo stringente i documenti storico-artistici italiani sul guerrone, compreso lo sforzo del pontefice nella direzione della pace e della condivisione delle sofferenze gigantesche di chiunque. Benedetto, eletto il 3 settembre, già il 12 invia ai cattolici un messaggio in cui manifesta – senza alcuna diplomazia – il proprio orrore e amarezza per la guerra devastatrice, chiedendo la cessazione delle ostilità da ambo le parti, senza preclusioni di sorta. Agiva in questo modo con la coscienza di dover essere il buon pastore di una cristianità in conflitto. Utopia, in un’Europa devastata dal fuoco nazionalistico e dall’odio reciproco? Ancor oggi in Roma, a Piazza Venezia, esiste una lapide splendente che condanna la ferocia austroungarica che ha martirizzato Cesare Battisti (ex cittadino dell’Impero), anno 1916: il marmo gronda rancore e testimonia la violenza di questo sentimento fra i popoli all’epoca (ma finora nessuno ha avuto l’intelligenza di depositarla in un museo a documentare la cecità dell’odio) e fa comprendere l’immane fatica dell’impresa pacificatrice del pontefice. Che si trovò spesso isolato nel contesto internazionale, sia per la non risolta Questione romana con l’Italia sia per l’incomprensione radicale con cui ogni suo gesto attivo in favore della pace veniva interpretato con sarcasmo, dileggio o indifferenza dai governi opposti e dalla stampa: in Italia più che altrove. Il 25 maggio 1915, il giorno successivo all’entrata in guerra del Belpaese, infatti, Benedetto condanna ancora l’orrenda carneficina che disonora l’Europa; nel marzo 1916 parla del suicidio dell’Europa civile. Fino alla celebre Nota inviata il 1° agosto 1917 alle potenze belligeranti con la definizione della guerra come inutile strage e la proposta di soluzioni di equità fra le varie nazioni, in un ordine nuovo basato sul reciproco rispetto. Le reazioni ostili non tardano, in Italia dove la guerra è vista dalla libe-ral-massoneria governante come la quarta guerra d’indipendenza e si accusa perciò il papa di disfattismo, ma anche in casa cattolica, se un predicatore famoso come il Sertillanges esclamerà da un pulpito parigino: Santità, non possiamo in questo momento ascoltare le vostre parole di pace!. Benedetto si pone su un piano di rigorosa neutralità fra le parti, opera col segretario Gasparri attraverso i canali diplomatici, ma soprattutto interviene concretamente ad alleviare il mare di sofferenze che il conflitto comporta ovunque. Organizza la diplomazia del soccorso con centro in Vaticano: si occupa di feriti, prigionieri, orfani, caduti; invia vestiario, generi di prima necessità; difende le minoranze etniche, soccorre la Russia e la Turchia, i Balcani e il Libano… senza alcuna differenza di razza o culto. Benedetto guarda in avanti: nell’ultimo anno di guerra suscita un’ondata di preghiera nella chiesa al Sacro Cuore o alla Regina della pace, che non è devozionalismo – atteggiamento che non gli appartiene – ma supplica e incitamento alla generosità.Con la sua azione tenace, il papa serve non solo i suoi fedeli ma l’umanità del suo tempo. Lavora per la pace anche all’interno di un cattolicesimo provato dal sistema inquisitorio di Pio X riguardo al modernismo che aveva certo sradicato l’eresia ma con metodi poco evangelici. Scioglie il Sodalitium pianum, organismo di eccessivo controllo sull’intellighenzia cattolica; promulga il nuovo Codice di diritto canonico; vorrebbe far la pace col Regno italiano, ma l’ostilità di Vittorio Emanuele III e dell’ala massonica glielo preclude. Ma mentre sta per portare avanti con saggezza e spirito profetico un’apertura della chiesa graduale però incisiva, è sufficiente un colpo d’aria gelida una mattina mentre si appresta a dir messa alle suore in Vaticano, che un polmonite se lo porti via a 68 anni il 22 gennaio 1922. Il papa fragile di corpo ma forte di spirito ha finito la sua missione di pace. Le personalità dei successori lo mettono presto in ombra, purtroppo. Ma, alla morte, la commozione è universale, come la gratitudine. Nel 1921 sono stati i turchi ad erigergli a Istanbul un monumento, riconoscendolo padre senza distinzione di nazionalità o religione, benefattore dei popoli. Pio XII, nella Seconda guerra mondiale, imparerà da lui come agire. Papa Ratzinger, prendendone il nome, ne ha rivalutato la profetica figura di artefice di pace.

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