Un gioco creativo di alto livello

Obama assume hacker per difendersi da WikiLeaks. Ma Julian Assange non impersona egli stesso la cultura hacker più genuina? Qualche chiarimento sui samurai di oggi.
hacker

Dopo i militari e la diplomazia, la prossima casta nel mirino del “sito degli spioni” sono i banchieri. Julian Assange, fondatore del “famigerato” sito WikiLeaks, inseguito dalle polizie di mezzo mondo, promette che la Rete continuerà ad essere invasa da migliaia di documenti riservati in grado di far saltare dalle sedie governi, militari e finanzieri. Da quando il sito è partito, chiunque sia in possesso di informazioni riservate e voglia renderle pubbliche, non ha che da farlo pervenire ai gestori di WikiLeaks. Prima o poi, dopo un minimo (quanto minimo?) controllo delle fonti, il documento verrà probabilmente pubblicato.

 

Ma perché Assange fa questo? Perché – dice – vuole impedire la militarizzazione degli Stati. Perché vuole un capitalismo etico. Perché odia la censura e gli intrallazzi dei potenti. E anche perché Internet ha ormai dimostrato di avere un potere destabilizzante enorme. Qualcuno aggiunge che Assange fa questo perchè è un hacker. Nel frattempo l’amministrazione Obama, per difendersi, assume giovanissimi hacker. Ma da che parte stanno il bene, la giustizia e la verità? Chi sono questi hacker improvvisamente saliti alla ribalta?

 

Cominciamo dalle definizioni. Hacker: lo traducono con “smanettone”, o con “chi ascolta”, o con “ribelle”, o con “qualcosa che rifiuta ulteriori spiegazioni”. Meglio andare al concreto: prima di tutto gli hacker non sopportano di essere confusi con i cracker, criminali informatici che attaccano i sistemi per violarne la sicurezza e creare danni, piccoli o molto grandi. Infettano o mettono fuori uso sistemi per la gestione delle infrastrutture nazionali e internazionali, reti di distribuzione energia elettrica e centrali, ma anche banche, industrie, computer militari e così via. I cracker devono dimostrare a sé stessi e al mondo di essere più forti e astuti delle difese esistenti. In realtà, secondo gli hacker, i cracker sono solo, per lo più, maschi adolescenti e irresponsabili, “idioti” scarsamente intelligenti.

 

Al contrario, l’hacker non intende distruggere, bensì costruire, risolvendo i molti e complessi problemi che ci sono in giro per il mondo e aspettano solo la persona abbastanza creativa, motivata e soprattutto competente che li sappia risolvere. È una sfida che significa coinvolgimento emotivo, divertimento (la noia è il nemico numero uno), volontarietà, gratuità, lealtà nei confronti della ristretta comunità nella quale si entra solo per reputazione, cioè se si è riconosciuti “degni” di farne parte, come stile di vita e come competenza. La soluzione trovata, se utile alla gente, alla fine verrà regalata ai navigatori della rete.

 

Per questo l’hacker deve saper programmare i computer, padroneggiare il codice sorgente dei programmi Unix e Linux, conoscere i segreti di Internet e dei suoi linguaggi, parlare bene l’inglese. Con queste abilità, scrive o migliora “software libero”, cioè programmi il cui codice viene condiviso con i navigatori della rete (open source), per il solo gusto di farlo. Risponde in Rete alle domande tecniche più difficili e coopera “volontariamente” per far funzionare quella complessa infrastruttura che è Internet e tutto il software libero che ci gira. Come stile di vita predilige fantascienza, arti marziali, meditazione, musica e giochi di parole. L’unico paragone che mi viene in mente è quello con i samurai giapponesi dell’Ottocento.

 

L’hacker infatti non tollera che qualcuno o qualcosa gli sia d’ostacolo nella risoluzione di un problema, per cui sarà sempre nemico di ogni forma di censura, copyright, segretezza, inganno, uso della forza. In una parola, è allergico ad ogni autorità, ad eccezione del minimo necessario per la convivenza civile. Non cerca la fama, ma solo il riconoscimento della comunità dei suoi (pochissimi) pari, brillanti e abili come lui. Nella società predilige un basso profilo, meglio ancora se è emarginato, così non perde tempo con la gente comune: ha altro da fare, deve risolvere “affascinanti” problemi, informatici e non solo. È questo l’unico vero scopo della sua vita. Il resto è noia.

 

Logica fuori dagli schemi, indipendenza, gioco, libertà, gratuità, orgoglio: per loro farebbe qualsiasi cosa. Se gli chiedete qual’è la sua cultura, vi risponderà quasi sicuramente: la “cultura del dono”. Obama, per passare al contrattacco, si è affidato ad alcuni di loro. Hacker contro hacker? Staremo a vedere.

 

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