Un capitale infinito di pazienza

L’emergenza Covid ha posto un inatteso e repentino stop alla corsa frenetica della società dell’eccesso. Per morire nel proprio letto di vecchiaia bisogna aspettare e sopportare

L’altro giorno ho ricevuto una mail da un amico imprenditore dell’Emilia, un uomo tutto d’un pezzo, iperattivo come deve esserlo un capitano d’industria, ma pure visionario: «Questa vicenda mi sta facendo capire che per vivere abbiamo bisogno di poco; risolti i bisogni naturali, occorre tanto amore da dare e da ricevere perché la vita è tutta lì, dare importanza alle persone e al lavoro. Tutto il resto è un errore strategico ed è idiozia inutile provare quello che sto passando». D’istinto l’ho chiamato al telefono, chissà, poteva fargli piacere. Mi ha risposto subito, come suo solito, ma la sua voce era indistinguibile dai rumori ambientali, sopraffatta dal rantolo artificiale della pompa dell’ossigeno che lo stava salvando dalla morte per asfissia. Dieci minuti più tardi mi ha richiamato, con la voce debole e rotta, aveva messo da parte il respiratore per qualche minuto. Mi ha detto: «Sto cercando tutta quella pazienza che non ho mai avuto».

Stop.

La nostra società globalizzata e pandemica – lo spiegano i grandi studiosi dei fenomeni collettivi – ha fatto dell’accelerazione dei ritmi di vita uno dei suoi pilastri, e quindi la rapidità di esecuzione delle più o meno normali azioni che siamo portati a compiere da mane a sera. L’Intelligenza artificiale, supporto dell’umano pensare, mira a ridurre drasticamente il tempo che noi dedichiamo a fare calcoli, a immagazzinare dati, a compiere movimenti ripetitivi, anche mentali e non solo fisici. La comunicazione globale – oggi definibile infodemia – è presa in questo turbine, arrivando a consumare notizie, opinioni ed eventi in modo sempre più convulso. Muore Maradona e per qualche ora non si parla d’altro e si versa pure una lacrimuccia, quanta gente ha fatto felice, povero ragazzo sbandato. Il papa fa un discorso sulla povertà, ma in 5 minuti la notizia se ne va dai nostri schermi per restare però, realissima, nelle catapecchie degli slum di mezzo mondo. Il premier Conte fa una dichiarazione sull’apertura delle stazioni di sci e occupa l’aere massmediatico per il breve lasso di tempo che ci separa dalla sua successiva dichiarazione. Che non lascerà traccia, come la precedente, nella nostra memoria. Anche la vita familiare si era fatta così incalzante che genitori e figli correvano dietro agli impegni lavorativi, a quelli scolastici, allo yoga della madre, al bridge del padre, al pallone del figlio, alla danza della figlia, alle ripetizioni, ai pediatri e agli psicologi, talvolta al catechismo o al solfeggio, la nonna da portare dal sarto, il cane da portare a spasso…

Stop.

Il Covid-19 ha messo un punto alla frenesia. Mugugnando o sollevando le spalle, ci siamo ritrovati a star seduti in poltrona a lungo, molto a lungo, a non poter uscire di casa per il lavoro, a dover inventare sempre nuovi modi di ammobiliare le ore improvvisamente liberate da ogni impegno. E qua e là nella nostra mente è tornato il mantra che ripeteva nostra nonna: «Pazienza, figliolo, pazienza». Così il nuovo, l’innovativo, il post-moderno pandemico si trova a ricongiungersi col vecchio, con l’antico, con il pre-moderno. E si recuperano valori che sembravano obsoleti nella nostra corsa considerata ormai eterna verso la crescita stabile, piombando invece in una “decrescita infelice” che nemmeno il profeta della “decrescita felice”, Serge Latouche, avrebbe mai potuto immaginare nella sua gravità. L’eccesso non è più di attualità, si ritorna finalmente alla misura.

Stop.

Appare francamente indecoroso il continuo cicaleggio degli amministratori locali – non solo in Italia e non solo in Europa – che chiedono impazienti di riaprireriaprireriaprire, di togliere ogni restrizione ai movimenti della gente, contando su un vaccino che doveva arrivare a tutti entro l’anno ma che quasi tutti noi dovremo pazientare chissà fino a quando per ricevere. Questi uomini politici locali parlano perché sono spinti dalle esternazioni preoccupate delle categorie economiche devastate dalla pandemia, ma anche dall’incapacità di agire sui tempi lunghi che erano della politica, maestra di pazienza fino a non pochi decenni fa. Scrive uno dei più attenti osservatori della realtà digitale, Luciano Floridi, ne Il verde e il blu: «Il panico generato dall’infodemia non dovrebbe essere seguito dall’euforia per le false speranze che la scoperta del vaccino o di altre cure potrebbero generare, facendo credere in una rapida conclusione della crisi». Cosa si può fare da umani, usando della nostra pazienza? «Non c’è modo di evitare la morte, ma con l’intelligenza e la buona volontà la si può posticipare, per morire non di coronavirus ma, come Abramo, “sazio di giorni”».

Stop.

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