Tunisia, finita l’era Essebsi

Dopo la scomparsa del presidente della Repubblica, il Paese si troverà il 15 settembre prossimo a dover ridistribuire le carte del potere e dovrà affrontare l’emergenza del terrorismo e quella dell’economia stagnante

Dopo una rapida malattia, il presidente della Repubblica tunisina, Mohamed Beji Caid Essebsi, si è spento il 25 luglio scorso, all’età di 92 anni, tre mesi prima della conclusione del suo mandato istituzionale. In aprile, quattro giorni dopo le dimissioni dell’82enne presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, anche Essebsi aveva annunciato la rinuncia a candidarsi alle elezioni presidenziali previste per novembre 2019: aveva detto in quell’occasione che bisogna «fare largo ai giovani». La Tunisia ne avrebbe davvero bisogno.

Essebsi era stato eletto alla presidenza nel 2014, dopo una lunga carriera politica che era iniziata alla fine degli anni Quaranta accanto ad Habib Bourghiba, il fondatore della Repubblica e suo primo presidente (1957-1987), all’indomani dell’indipendenza dalla Francia e dell’abolizione della monarchia degli Husainidi (1956). In oltre 60 anni di carriera politica, Essebsi è stato consigliere della presidenza, direttore della sicurezza nazionale, ministro dell’Interno, degli Esteri e della Difesa; e poi ambasciatore, presidente della camera, primo ministro, fondatore di un partito di governo (Nidaa Tounes) e capo dello Stato.

Essebsi è stato un politico polivalente, che qualcuno, forse esagerando, ha definito camaleontico, quasi come il famoso principe di Talleyrand (1754-1838), al quale il poeta toscano Giuseppe Giusti nel 1840 metteva in bocca queste parole: «Io, nelle scosse delle sommosse, tenni, per àncora d’ogni burrasca, da dieci a dodici coccarde in tasca». Analogamente a Talleyrand, anche Essebsi ha conosciuto alcuni periodi di allontanamento dalla vita politica attiva, ma anche lui come il famoso diplomatico francese aveva la capacità di una visione ampia e una notevole intelligenza. Ed ha saputo gestire il potere con furbizia senza fare troppi sconti alle idealità laiche che lo animavano, riemergendo sempre, anche dopo scelte difficili e catturando spesso non solo l’effimero consenso della politica, ma anche la fiducia di molta parte dei tunisini. Verrà però ricordato soprattutto per essere stato l’unico presidente democraticamente eletto dopo le “primavere arabe” del 2011.

Nel suo stesso Paese non ha avuto predecessori che abbiano brillato in quanto a democraticità di elezione, tranne forse Bourghiba, che però rimase poi sulla “poltrona” per più di 30 anni, seguito dai 23 anni del regime di Ben Alì e da tre presidenti ad interim in successione.

L’eredità politica dello scomparso presidente è un Paese guidato da una coalizione tra Nidaa Tounes (il partito laico fondato da Essebsi) ed Ennahda (di matrice islamica moderata), alleanza segnata da non poche difficoltà decisionali dovute a profonde differenze di impostazione. In questa divergenza si è recentemente inserito il nuovo partito laico Tahya Tounes, fondato dal premier Youssef Chahed. Per ora, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo (il parlamento tunisino) ha nominato il proprio presidente, l’85enne Mohamed Ennaceur, capo dello Stato ad interim, in conformità con la Costituzione; ed ha anticipato la data delle elezioni politiche e presidenziali, fissandola al prossimo 15 settembre.

A fronte di indubbi passi avanti (oltre alla laicità dello Stato, di non poco conto la promozione della donna), in Tunisia tra le urgenze da affrontare quella forse più spinosa è la minaccia del terrorismo, ma non sono da meno la situazione economica e l’endemica disoccupazione. La minaccia del terrorismo è particolarmente forte nel Paese, dove milizie locali jihadiste sono arroccate nelle aree montuose a cavallo con l’Algeria e lungo il fragile e poroso confine con la Libia. Non si possono dimenticare gli attentati del 2015 e anche quelli più recenti, volti a destabilizzare lo Stato colpendo uno dei punti di forza dell’economia tunisina, il turismo (che da quegli attentati non si è ancor del tutto risollevato).

Si calcola inoltre che fra i 5 e 8 mila tunisini abbiano combattuto in Iraq e Siria come foreign fighters, giungendo anche a ricoprire ruoli di rilievo nel Daesh. Il rientro in Tunisia di questi miliziani, dopo le sconfitte di Mosul, Raqqa e Baghuz, desta non poche preoccupazioni per la tenuta democratica del Paese. Per quanto riguarda la disoccupazione e l’economia, la Tunisia ha un problema molto serio, e non da ieri, che è quello della disoccupazione, calcolata al 15% a livello complessivo e al 40% per quella giovanile. L’inflazione è costantemente a due cifre. Il Pil è calato di almeno 2 punti nel 2018 e negli ultimi tre anni si è registrata anche una riduzione sensibile nella produzione industriale ed agricola per mancanza di riforme e per il calo degli investimenti sia nazionali che stranieri.

 

 

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