Tra favole e coltelli

A Scarperìa del Mugello, il “paese dei ferri taglienti”, patria del favolista Luigi Fiacchi detto Clasio
scarperia del mugello

Eccomi a Scarperìa del Mugello, tranquilla cittadina di origine trecentesca a una trentina di chilometri da Firenze: ne è il cuore la piazza su cui si affacciano il bellissimo Palazzo dei Vicari dalla facciata costellata di stemmi araldici e le chiese di San Barnaba e degli Agostiniani. E dire che, se sono arrivato in questo luogo di cui non conoscevo neanche l’esistenza, lo devo a mia nonna materna. Non che lei me ne avesse accennato, ma… Mi spiego. Nonna Concetta non parlava che per sentenze: sempre ne aveva in serbo qualcuna con cui commentare un fatto o qualcosa che aveva sentito dire, e che immancabilmente serviva a lei per assicurarsi l’ultima parola: un tipetto davvero! Erano in genere motti o sentenze della sapienza popolare, ma che tradivano talvolta una derivazione colta o dalla Sacra Scrittura: eppure non aveva fatto grandi studi. Una di queste frasi, rimastami impressa anche perché sonante endecasillabo, è: «Potea, non volle; or che vorria non puote». Mia nonna la tirava in ballo ogni volta che voleva redarguire qualcuno che, non avendo saputo approfittare del momento opportuno, con rimpianto doveva riconoscere il proprio errore.

 

Potea, non volle… Chi poteva essere l’autore di una citazione del genere? Solo ultimamente sono riuscito a scoprirlo. Si tratta di un tal Luigi fiacchi detto Clasio, vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento: nativo di Scarperìa, accademico della Crusca, sacerdote, fu autore di favole moralistiche in versi con le quali distribuiva manciate di saggezza e, perché no? insegnava le verità evangeliche in modo garbato e bonario, talvolta perfino spassoso, ai rampolli delle nobili famiglie di cui fu istitutore. Ne ho lette alcune con vero gusto: vi si respira un’aria tersa e lieve, hanno una facilità cantabile che ricorda i poeti dell’Arcadia, non scevra da acutezza psicologica. Se riusciva altrettanto accattivante nei suoi sermoni in chiesa, il buon Clasio dovette raccogliere un uditorio considerevole.

 

Comunque sia, ciò è bastato perché, fermandomi qualche giorno a Firenze, cogliessi l’occasione (Potea…) per raggiungere in corriera la non lontana Scarperìa, in omaggio a nonna Concetta e a Luigi Fiacchi. Che, va detto, non fu l’unico suo cittadino illustre: vanno aggiunti a lui due contemporanei di chiara fama come lo scrittore Nicola Lisi e la poetessa Margherita Guidacci. Ma altro ancora riserva la graziosa cittadina che nel 1415 divenne sede vicariale, ovvero del rappresentante del potere amministrativo e giudiziario di Firenze. Il Palazzo dei Vicari (nella foto), appunto, già museo di sé stesso per gli antichi arredi ed affreschi e sede, fra l’altro, di uno dei più importanti archivi storici preunitari dell’area fiorentina, dopo un impegnativo restauro conclusosi nel 1999 ospita l’interessantissimo Museo dei Ferri Taglienti, che documenta la produzione di coltelli, utensili agricoli e per la sartoria, vanto di questa cittadina fin dai secoli XV e XVI: e lo è tuttora, anche se le botteghe artigiane, un tempo numerose, si sono di molto ridotte. Un museo da non perdere, che documenta l’ingegno, la creatività e il senso della bellezza profusi per realizzare strumenti umili, se si vuole, ma da sempre necessari alla vita dell’uomo.

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