Torino dopo il rogo

La città è senza parole davanti alla violenza che ha devastato il campo rom delle Vallette
incendio campo rom torino

La realtà a volte supera la fantasia, ma in questo caso è la stupidità a superare qualsiasi limite. La storia è avvenuta a Torino nei giorni scorsi. Una sedicenne denuncia un falso stupro da parte di due nomadi stranieri, per la paura di dover dire la verità a genitori. La famiglia, tra la rabbia e il desiderio di giustizia, organizza sabato 10 dicembre un corteo silenzioso per protestare contro la violenza e l’insicurezza nelle città. La gente del quartiere periferico e popolare di Torino Vallette, fatto di palazzi abitati dalle famiglie provenienti dal Sud nel boom economico industriale degli anni Settanta, partecipa alla fiaccolata. Sono quasi in cinquecento. Ma il corteo degenera in un vero e proprio assalto a un campo rom alla periferia della città. Solo pochi minuti di violenza con alcune decine di persone armate di bastoni, che invadono il campo alla cascina Continassa, fanno fuggire i rom, spaccano tutto quello che trovano e poi, con le stesse fiaccole usate per il corteo, danno fuoco alle baracche. I violenti vengono fermati dai Carabinieri accompagnati dal fratello della ragazza. Intervengono i Vigili de fuoco nel campo rom, tra donne e bambini spaventati che fuggono alle fiamme. Vari i feriti, due persone sono arrestate per danneggiamento aggravato. Torino è sgomenta di fronte al grave episodio di intolleranza violenta e razzista. Il sindaco Piero Fassino è sconcertato e indignato: «È assolutamente inaccettabile – dice – che si dia luogo a manifestazioni di linciaggio nei confronti di persone, per la sola ragione che sono cittadini stranieri. Torino è una città civile che ha saputo sempre rispettare ogni persona, quale che sia il luogo in cui è nata, la lingua che parla, la religione che pratica».

 

«Mi sento umiliato e ferito – sottolinea l’arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia – sia come cristiano, membro di una comunità che vanta nella sua storia la testimonianza dei santi sociali, sia come cittadino di una città dove migliaia e migliaia di persone operano ogni giorno con grande generosità e gratuità verso poveri, gli immigrati e gli stessi rom nei vari campi come io stesso ho potuto constatare nel corso delle mie visite e dei miei incontri con loro. Episodi come questi ci sollecitano a un supplemento di impegno per non arrenderci. Dobbiamo continuare a educare alla legalità, all’accoglienza e al rispetto di tutte le comunità e le persone, anche quelle che hanno una cultura, una religione, un’etnia diverse dalla nostra; continuare a compiere gesti concreti che abbiano lo stile e il segno della civiltà e della ragionevolezza. Il Natale che ci prepariamo a celebrare ricorda, anche a chi non crede, che Gesù nasce povero e straniero. E però la sua parola, la sua stessa vita sono diventati un messaggio universale di fraternità».

 

Ma lo sgomento aumenta quando il giorno dopo si scopre che il racconto fatto dalla ragazza ai Carabinieri è falso: nessuna violenza, nessun stupro, nessun straniero coinvolto, ma solo la bugia di una ragazza impaurita davanti al che cosa avrebbero pensato i genitori se avessero scoperto il primo rapporto con il suo fidanzatino. Tutta la città è senza parole. Parla soltanto la ragazza con una lettera: «Scusatemi. Ho visto in tv le immagini delle fiamme al campo nomadi e mi sono sentita male. Mi vergogno da morire: mi sono resa conto solo ora di quello che è successo. Ho raccontato quella storia per paura… Chiedo scusa a tutti e soprattutto a quei bambini del campo. Chiedo scusa a tutta la gente del quartiere per la rabbia che ha suscitato la mia bugia. Sono pronta ad affrontare le conseguenze di quello che ho fatto».

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