Tesori sotto il vulcano

Snobbando le "star" Pompei ed Ercolano, proponiamo questa volta la riscoperta di Stabia: la Cenerentola fra le città sepolte dalla celebre eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo.
stabia

Certo che le catastrofi della fiction superano a volte in orrore quelle reali, grazie agli effetti speciali profusi. Chi tuttavia non ama farsi venire le palpitazioni in sala, e al tempo stesso desidera, novello Leopardi, meditare sulla cieca potenza distruttiva della natura, non ha che da recarsi in uno dei siti nostrani più affascinanti e più atti allo scopo: l’area vesuviana.

 

Snobbando le “star” Pompei ed Ercolano, proporrei questa volta la riscoperta di Stabia, ovvero la Cenerentola fra le città sepolte dall’eruzione del 79 dopo Cristo: sia perché alquanto decentrata rispetto ai circuiti turistici consueti (va cercata tra i vigneti, frutteti ed agrumeti alle spalle dell’odierna Castellammare), sia perché gli infiniti restauri successivi al terremoto dell’80, che ha rischiato di cancellarla una volta per tutte, ne hanno scoraggiato la visita ai più.

 

Stabia, dopo la distruzione operata da Silla nell’89 a.C. durante la guerra sociale, risorse non più come nucleo urbano omogeneo, ma dispersa in ville, lussuose o rustiche, tra la collina di Varano affacciata sul golfo partenopeo e il fertile territorio ai piedi dei Monti Lattari. Qui trovò la morte il celebre naturalista Plinio il vecchio, accorso da Miseno con la flotta romana per portare soccorso alle popolazioni in fuga dal cataclisma del 79; morte narrata in una altrettanto celebre lettera a Tacito dal nipote Plinio il giovane.

 

Dimenticata per secoli, riscoperta e saccheggiata nel Settecento dai cacciatori di tesori borbonici, risepolta e ancora rimessa in luce, a partire dagli anni Cinquanta, dalla testardaggine di un preside di liceo, il professor Libero D’Orsi, quest’araba fenice che sempre risorge dalle sue stesse ceneri offre, allo stato attuale degli scavi, tre grandiose ville riccamente decorate, dalle cui terrazze lo sguardo spazia sul golfo, dominato dall’inquietante presenza del vulcano più “abitato” del mondo.

 

Non lontano, nel cuore della città moderna, è un autentico scrigno di tesori che attende più degna sede: l’antiquarium locale. Vi si ammirano, fra l’altro, alcuni splendidi saggi della pittura parietale stabiana, che rispetto a quella pompeiana sembra caratterizzarsi per una maggiore originalità e libertà dagli schemi accademici, raggiungendo, specie nelle decorazioni dei soffitti, risultati eccellenti. Una sottile malinconia pervade alcuni stupefacenti frammenti: testimonianze pagane di un amore per la bellezza minacciata da caducità, quasi presagio del tragico destino che avrebbe spento la vita in questo incantevole lembo di “Campania felix”.

 

Ma molte altre sono, nelle campagne circostanti, le ville esplorate o solo individuate. Giace sottoterra un tesoro che attende di essere valorizzato, a vantaggio anzitutto di Castellammare. Che non riesce, con le sole acque termali, a risollevarsi dal suo cronico stato di crisi. Sarà da lì, dagli orti e vigneti di Varano e dintorni, che verranno le sorprese maggiori per l’archeologia vesuviana, rendendo così giustizia alla nostra Cenerentola? C’è da crederlo. La millenaria avventura di Stabia non è ancora finita.

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