Tempo di una coalizione sociale positiva

È la prospettiva indicata da Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl. Intervista su crisi, politica, forze sociali, futuro
Parlamento

Che aria sta tirando nel Paese, visto dal suo osservatorio di sindacalista?

«Domina una sorta di disincanto e di cinismo, alimentata da certi spettacoli deprimenti che affollano i tg e le pagine dei quotidiani che sono assolutamente fuorvianti e distorsivi. C’è una situazione di sbandamento e di paralisi dalla quale bisogna uscire anche se non è facile individuarne il modo. Purtroppo abbiamo una situazione bloccata sul piano politico e molto complessa sul piano economico-sociale».

 

Vede segnali di reazione, di riscossa nel tessuto sociale delle diverse aree del Paese?

«Il senso di cinismo e di deriva morale che registriamo non aiuta il Paese. Eppure, la gravità delle questioni in campo sta suscitando una grande voglia di misurarsi con i problemi che ci sono. Le forze sociali, economiche e quelle che hanno una rappresentanza vera, un contatto vero con le persone che lavorano, che studiano, stanno provando a reagire. Spero trovino la forza, mettendosi anche insieme, di determinare un cambiamento».

 

Sussulti interessanti dalla politica, ne scorge?

«La politica da sola, come tutti vediamo, fa una grande fatica a farcela, perché si rifugia più volentieri nell’invettiva, nella lacerazione, nell’autodifesa a riccio. Temo che la situazione possa durare a lungo. Proprio quello che non servirebbe all’Italia, dal momento che siamo al terzo anno di crisi e conosciamo i valori esigui degli indicatori economici del Paese, anche nelle aree più avanzate, oltre al dramma del Sud».

 

Oggi chi guida davvero il Paese? Il governo o Confindustria e i sindacati confederali?

«Guardiamo alle prospettive. L’unica innovativa in politica, per me, sta nel trovare con trasversalità – perché è un problema che riguarda tutti – quei 50 giusti di Sodoma e Gomorra che diano un futuro al Parlamento e al Paese. Mi auguro che adesso in tutte le forze politiche possa prevalere un senso della Repubblica, dello Stato e delle istituzioni tale da individuare una modalità per dare un segnale di cambiamento che deve partire da una matura consapevolezza delle effettive difficoltà in cui si trova il Paese e dell’urgenza di misure non estemporanee da varare e porre in essere».

 

Lascia fuori Confindustria e sindacati?

«Per quanto riguarda Confindustria e sindacati, essi assolvono un compito ben preciso, già svolto in questi anni nel rispetto delle persone che entrambi rappresentano. Certo, adesso, visto il perdurare della situazione, penso ci sia bisogno di una coalizione positiva tra le forze economiche e le forze sociali, accantonando sia la voracità che ha contraddistinto certi imprenditori, sia la conflittualità forte che in qualche caso ha contrassegnato i sindacati, per cercare una linea comune e trovare risposte. Individuare, insomma, le ragioni comuni di forze sociali e forze economiche per contaminare in positivo quei 50-100 giusti che nella politica sappiano imboccare una strada diversa e uscire dal deserto in cui siamo».

 

Su cosa bisognerebbe agire subito?

«Vede, il dato più pesante è quello dei giovani che si trovano senza lavoro, finita la scuola, in una sorta di palude. Allo stesso tempo, il nostro è un Paese che non è completamente fermo, che ha ancora carte importanti da giocare, non solo dal punto di vista dell’intraprendenza economica, ma anche nella coesione sociale. Pur in presenza di fenomeni di scoraggiamento e di marginalità.

«È un Paese che avrebbe bisogno di risposte, stimoli maggiori. E qui arriviamo ad un problema di fondo: quello della qualità della classe dirigente a tutti i livelli, da quello centrale a quello territoriale di tutte le organizzazioni, da quella politica a quella economica. In questo frangente non dovrebbero deludere le attese».

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