Tablet o cultura?

La proposta del presidente francese Hollande di tassare i telefonini per finanziare la produzione culturale sembra legata ad una concezione perdente, che vede la cultura come un patrimonio in via di estinzione che necessita della tutela dello Stato
tablet

Il progetto del presidente francese Hollande nasce come rivisitazione in chiave digitale del concetto di «eccezione culturale», ossia quella concezione secondo cui i prodotti culturali non possono essere considerati una merce uguale a tutte le altre. La proposta è di Lescure, noto ai più per aver inventato Canal+, a cui era stato chiesto di fornire un quadro normativo del digitale un po’ meno rigido e severo rispetto a quello proposto dall'ex presidente Sarkozy con la legge Hadopi (che, per fare un esempio, prevede l’interruzione del servizio per i download illegali).

Per chi segue più da vicino il mondo web e i suoi derivati, la proposta di Lescure non appare poi così originale: da tempo osservatori e addetti ai lavori propongono di tenere in giusta considerazione il fatto che da Internet traggono profitti soprattutto i fornitori di hardware e i gestori delle connessioni, ma non i produttori di contenuti, messi invece a dura prova dalla nuova economia della Rete. Proposito saggio, ma che pare legato a un’idea di cultura molto vicina a quella che alcuni sostenitori del WWF hanno dei panda (un patrimonio in estinzione da proteggere e salvaguardare) e che rischia, se non bilanciata da proposte più attente allo sviluppo che non alla conservazione, di confinarla in uno stato di insignificante cattività.

In un ambiente, com’è quello di Internet, in cui il concetto di gratis viene applicato in maniera tanto disinvolta da mortificare chi produce cultura e contenuti in genere, è certamente necessario pensare (o ripensare) un modello di economia che non premi esclusivamente i distributori di apparecchi; che tenga presente che la Rete è un patrimonio tecnologico, ma anche sociale e culturale, e che per mantenerla ricca e plurale è necessario liberarla da un modello di business che contempla la pubblicità come unica risorsa.

Ma di fronte a una proposta che mostra dei tratti di artificiosità come quella di Lescure viene da chiedersi: come dovrebbero essere suddivisi i fondi ricavati da una tassazione di questo tipo? Una distribuzione per click premierebbe le testate e i siti che possono permettersi maggiore visibilità e notorietà amplificando l’effetto advertising già molto invadente in Internet. E ancora: perché la cultura, pur non essendo merce come tutte le altre, non dovrebbe confrontarsi col mercato? Non rischierebbe così facendo l’isolamento autoreferenziale?

Il dibattito è aperto e interessa il nostro futuro. Si tratta forse di immaginare un’industria culturale che sappia ridisegnare un rapporto con lo Stato che sia di tipo propositivo e non solo di salvaguardia e assistenza, ma anche capace di divincolarsi da alcuni diktat indotti dal mercato che, quando inseguono idee già vecchie senza sapere indicarne di nuove, affossano idee e bilanci aziendali.

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