Sulle rotte della disperazione

Immigrati
Ma capisce, c’erano mani che si aggrappavano disperate al gommone rovesciato, cercando di non sprofondare nel mare – così parla in un dialetto aspro e roco, dai toni alti di chi deve farsi capire nel vento, il capitano Nicolò Asaro del peschereccio siciliano Monastir, che ha salvato 64 naufraghi -. Anche pezzi di ossa nelle reti troviamo. Una mattanza è. Ecco cosa è. Basta ascoltarlo – la voce rotta dall’emozione, due occhi piccoli e scuri incassati in un volto bruciato dal sole – per cogliere in un attimo tutta la rabbia, la profondità e la portata della tragedia dei clandestini di mare, che ormai si va perpetuando da anni nelle acque del Mediterraneo. Quei volti spariti sotto gli occhi diventano per sempre fantasmi aggrappati alla memoria di questa gente di mare, buona e coraggiosa. In dieci anni 12 mila disperati hanno perso la vita per raggiungere clandestinamente l’Europa. Esausti, denutriti, donne in gravidanza, il mare mai visto in vita loro per cui basta cadere in acqua per sprofondare. Gente in fuga da una vita impossibile, proveniente da Niger, Sudan, Ciad, Ghana, Corno d’Africa. Con un immenso serbatoio umano di altri disperati che aspetta solo l’ok dei trafficanti per partire. Le tragedie in mare legate agli sbarchi sono parte dell’ampio fenomeno generale della immigrazione, clandestina o meno: problema complesso, discusso, epocale. L’onda dell’emotività e dell’indignazione, pur sacrosanta, lascia spesso la rabbia di vedere un problema di tale portata caricato su una singola nazione, l’Italia, solo perché le sue minuscole isole, come Lampedusa, sono le più vicine alla costa africana. Eppure il nodo di fondo del problema, ormai lo sanno tutti, è nel dialogo disatteso e incompleto tra la (più) ricca Europa e la poverissima Africa che si affaccia sulla sponda sud del nostro mare. Non è solo questione di aiutare chi sta peggio di noi; il freddo e utilitaristico calcolo della Com – missione europea ci ricorda che senza l’arrivo annuo di 1,5 milioni di immigrati la forza lavoro europea nel 2050 sarà carente per circa 50 milioni di lavoratori! L’Europa in questi giorni fa rinascere a Parigi – tra luci, ma anche forti ombre – l’Unione euromediterranea. Un segno dei tempi, anche se fin dagli anni Cinquanta va avanti e indietro la faticosa tessitura di politiche di cooperazione tra Europa e Africa. Pensare solo in termini di politiche di contenimento è ancora girare attorno al problema, ritardarne la soluzione. La risposta alla criminalità che sguazza in questo mare torbido non può che essere la risposta di una politica internazionale alta, di una governance globale del fenomeno. Per capire di più e meglio ci facciamo aiutare dal capitano di fregata Giovanni Gravina, responsabile presso il Comando generale delle Capitanerie di porto-guardia costie ra dell’Ufficio piani ed esperto nazionale nell’ambito dell’Ue per le operazioni congiunte in mare promosse dall’agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex) a cui partecipano vari stati membri dell’Unione. Da dove partono, dove cercano di arrivare i clandestini? È un flusso che ha i suoi porti di partenza principalmente in Libia verso l’Italia, in Senegal e in Marocco verso la Spagna. Il serbatoio di questa gente disperata è l’Africa sub-sahariana e il corno d’Africa (Somalia, Etiopia). Nel Canale d’Otranto tra Albania e Italia non si moriva così. C’è stata una evoluzione del fenomeno: ai tempi dell’Albania si trattava di navi vere e proprie o di esperti scafisti proprietari di mezzi veloci. Poi si è passati alle navi piene di curdi che partivano dalla Turchia, con sbarchi in Calabria. Erano navi-madre con la stiva piena di immigrati curdi, afghani, iracheni che al momento giusto sbarcavano su piccoli scafi. Ma ancora con una certa organizzazione del viaggio. Poi l’ultima frontiera. Da Tunisia e Libia ormai partono barche senza equipaggio esperto!. Sovraccariche all’inverosimile… Avete visto le foto, sono in genere gommoni da 8 a 15 metri, sovraccarichi (mediamente con circa 50 persone, ma talvolta arrivano fino a 100-130 unità) che perdono stabilità solo allo spostarsi dei passeggeri, figuriamoci con mare grosso. Ma come fanno ad arrivare a Lampedusa? Sono un bel po’ di miglia in mare aperto. Le organizzazioni criminali scelgono tra gli immigrati uno o due dei più in gamba, li addestrano sommariamente, gli consegnano un telefono satellitare con il Gps palmare (strumento che fa da bussola), impostano la rotta, spiegano di massima come procedere, forniscono il numero del soccorso in mare della guardia costiera e li abbandonano al loro destino. Per questo, nonostante tutto, diversi arrivano a destinazione, o riescono ad essere soccorsi. Perché non potete intercettare gli scafi alla partenza? Entro le 12 miglia (poco più di 20 chilometri) dalla costa il mare appartiene allo Stato costiero, sono acque territoriali, dove vige la sovranità di quello Stato che dovrebbe assicurare il pattugliamento. Come avviene l’attività di controllo in mare? Soccorso e contrasto. L’azione di soccorso in mare mira alla salvaguardia della vita in pericolo ed è prioritaria, è un bene assoluto da tutelare secondo le convenzioni internazionali e secondo il Codice della navigazione. L’azione di contrasto all’immigrazione clandestina è un’azione di polizia. Con l’attuale tipologia di imbarcazioni un-safe (insicure) la nostra è una azione di soccorso nel 90 per cento dei casi. Pattugliate solo le coste? Spesso ci spingiamo ben oltre le nostre acque, anche fino a cento miglia nel Canale, perché sappiamo che la vita di quei migranti è davvero a rischio. Perché gli sbarchi dall’Albania sono cessati? Cosa è accaduto? Ha toccato il nodo di fondo. Gli sbarchi sono l’ultimo anello di una catena che nasce da lontano, dall’assoluta indigenza (carestie, guerre, genocidi) nei Paesi da cui i clandestini cercano di fuggire. La vera soluzione, la soluzione radicale, io la vedo solo nel rafforzamento di tutti quei processi di cooperazione politico-economica tra Stati che portano stabilità, tecnologia, knowhow, risorse sul posto. Con l’Albania ha funzionato. Con il sud del Mediterraneo (Africa e non solo) è la scala che cambia, e solo una politica europea potrebbe esserne capace. Lei lavora anche in ambito europeo. A che punto siamo? Le cose si muovono, pur senza clamori. C’è ormai una procedura comune in materia di asilo, migrazione e frontiere per proteggere lo status dei rifugiati legato alla Convenzione di Ginevra. Si collabora fortemente con l’Unhcr. È stato definito ed è in via di sviluppo il Programma dell’Aja approvato nel 2004 dal Consiglio europeo, che ha tra gli obiettivi prioritari la promozione di un pieno partenariato con i Paesi terzi per migliorare la loro capacità di migrazione e di protezione dei rifugiati, ma anche per prevenire e contrastare l’immigrazione clandestina. IMMIGRAZIONE: PICCOLO VOCABOLARIO Migrante/immigrato: chi sceglie volontariamente di venire via dal proprio Paese per cercare lavoro e condizioni migliori di vita. Clandestino se cerca di entrare eludendo i controlli alla frontiera. Richiedente asilo: chi presenta domanda di asilo come rifugiato. La Convenzione di Ginevra del 1951 prevede il soggiorno regolare. Rifugiato: chi è perseguitato nel proprio Paese di origine per motivi razziali, religiosi, di nazionalità o per opinioni politiche. Vittima della tratta: chi è condotto contro la propria volontà e costretto a lavoro forzato, sfruttamento sessuale e prelievo di organi.

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