Sud protagonista del proprio sviluppo

E' l'invito contenuto nel documento dei vescovi italiani sul Meridione.
ammazzateci tutti

Maneggiare con cura. E fare attenzione ad un duplice trabocchetto. Il primo lascia sibilare che nulla di nuovo sia contenuto nel documento dell’episcopato italiano sul Mezzogiorno appena pubblicato. Il secondo sussurra che si tratta, appunto, di un testo, solo di un ennesimo elaborato di cui la Chiesa italiana resta autrice prolifica.

 

Siamo invece davanti a ben altro. Anche nel lessico: chiaro, incisivo e ardimentoso. Che manifesta un approccio culturale al Sud fiduciosamente dirompente. Che interpella e scuote, pur nella prosa piana e lineare. Che convoca le coscienze dei singoli, ma pure le responsabilità dello Stato e delle istituzioni, della politica e dell’economia, interrogando – non per ultimo – il mondo ecclesiale locale e nazionale.

 

«Abbiamo il dovere di annunciare che i cambiamenti sono possibili», scrivono i presuli. Capperi! Chi lo dice più con convinzione pensando al Mezzogiorno? Eppure i vescovi hanno ben presente «ogni tentazione di torpore e di inerzia», che sovrasta la materia. Per questo dicono pane al pane: «Svelare la verità di un disordine abilmente celato e saturo di complicità, far conoscere la sofferenza degli emarginati e degli indifesi, annunciando ai poveri, in nome di Dio e della sua giustizia, che un mutamento è possibile, è uno stile profetico che educa a sperare».

 

Stile profetico. Niente di meno serve oggi. La Chiesa – nell’asfittico panorama culturale italiano ed occidentale – può darne ancora prova: «Ecco allora il nostro appello – si legge nella parte finale del testo –: bisogna osare il coraggio della speranza».

 

Si coglie con immediatezza che il documento è attraversato da un respiro che s’è fatto metodo Il testo è infatti il frutto di una riflessione davvero condivisa e non il risultato di un gruppo di specialisti. Raccoglie gli esiti del convegno dello scorso anno “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud”, ulteriormente elaborati sino all’approvazione, nello scorso gennaio, da parte del Consiglio permanente della Cei. Prima della pubblicazione, tuttavia, la bozza è stata rimandata a tutti i vescovi, in modo da arrivare ad un documento che fosse, com’è stato precisato, «espressione dell’intero episcopato, così da ribadire la nota della reciprocità, per cui solo insieme si affrontano i problemi e le sfide del Paese».

 

“Reciprocità” è un termine inusuale divenuto adesso parola-chiave, rivelatrice di un approccio culturale che vede nell’amore e nella reciprocità dell’amore la condizione per un lettura della realtà più completa, più oggettiva, più veritiera, più capace di scorgere i segni dei tempi immessi dallo Spirito nelle pieghe del nostro travagliato presente.

 

I vescovi premettono infatti che intendono «dare un contributo alla comune fatica del pensare», esercizio sempre raro nel Paese. Ma basano questo servizio sulla consapevolezza che «soltanto questa reciprocità d’amore ci permette di essere riconosciuti da tutti come suoi discepoli». E qui innestano un’altra espressione cruciale: lo sguardo d’amore verso la propria terra. Ma niente sdolcinato sentimentalismo. Sentite un po’: «Il nostro guardare al Paese, con particolare attenzione al Mezzogiorno, vuole essere espressione, appunto, di quell’amore intelligente e solidale che sta alla base di uno sviluppo vero e giusto, in quanto tale condiviso da tutti, per tutti e alla portata di tutti».

 

Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno è il titolo del documento. Il ricorso al termine “solidale” è strategico. Perché, pur prossimi alla ricorrenza del 150° anniversario dell’unità nazionale, l’Italia sta rischiando uno sfilacciamento irreversibile tra Centro-Nord e Sud.

 

Parole nette e dure sono spese per le degenerazioni della politica e dell’economia, la cultura omertosa e la criminalità organizzata. Quest’ultima «non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese». Insomma, è in gioco la tenuta politica dell’Italia.

 

Viene ricordato, perciò, che il problema dello sviluppo del Mezzogiorno, «non ha solo un carattere economico», ma rimanda a «una dimensione di carattere etico, culturale e antropologico». In buona sostanza, i vescovi ricordano ancora una volta che «lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune». La questione educativa resta perciò la priorità decisiva.

 

Guardare a questa parte del Paese deve continuare ad essere l’impegno dello Stato e delle pubbliche istituzioni ad tutti i livelli, sottolineano i vescovi. Ma fanno altrettanto presente «alle classi dirigenti e alle popolazioni del Sud di farsi protagoniste del proprio sviluppo», perché opportunità e potenzialità, valori e qualità non difettano. Al riguardo, non va dimenticato che le regioni meridionali «hanno contribuito allo sviluppo del Nord e, soprattutto grazie ai giovani, rappresentano uno dei bacini più promettenti per la crescita dell’intero Paese». E poi va tenuto conto della collocazione cruciale nel Mediterraneo.

 

«Quella meridionale è questione di tutta l’Italia», ha chiarito mons. Crociata, segretario della Cei e uomo del Sud (siciliano). Questa è infatti una preoccupazione dei vescovi: che il Mezzogiorno si continui a considerare come un problema a parte. Sappiamo bene invece che il Paese non crescerà se non insieme. È una faccenda che riguarda tutti. Tanto più se credenti e impegnati in associazioni o movimenti.

 

Ecco perché vengono incoraggiate «le comunità stesse, affinché continuino ad essere luoghi esemplari di nuovi rapporti interpersonali e fermento di una società rinnovata, ambienti in cui crescono veri credenti e buoni cittadini». Insomma, palestre in cui sperimentare nella qualità delle relazioni l’energia rivoluzionaria che promana dal Vangelo vissuto e ricondurre ad un’effettiva unità interiore – spirituale e culturale – l’essere credente e l’essere cittadino.

 

Di pari passo è cresciuta «una società civile maggiormente consapevole di poter cambiare gradualmente una mentalità e una situazione da troppo tempo consolidate». I vescovi rilevano con piacere che «sono soprattutto i giovani ad aver ritrovato il gusto dell’associazionismo, non volendo più sentirsi vittime».

 

Pertanto la lettura del documento (www.chiesacattolica.it) è non solo consigliata ma – in senso civile – doverosa. Costituisce un aggiornato strumento di discernimento per ritrovare il senso delle proporzioni tra l’orizzonte del proprio campanile e il bene comune nazionale, per chiamare per nome egoismi individuali e corporativi e recuperare così la prospettiva dello sviluppo  complessivo del Paese. È un invito ad interrogarsi, a riflettere insieme, a cercare soluzioni solidali coinvolgendo la propria città, a creare ponti e reti tra Nord, Centro e Sud Italia. Le comunità ecclesiali sono chiamate per prime a manifestare e dare concretezza al desiderio e alla necessità dello scambio e dell’aiuto reciproco.

 

In definitiva, il Mezzogiorno «può diventare un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso rispetto ai modelli che i processi di modernizzazione spesso hanno prodotto». È una sfida in grande stile, che don Pino Puglisi – ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993 e indicato dai vescovi come uno dei testimoni – seppe anticipare. La Settimana Sociale, che si terrà (non a caso) a Reggio Calabria nel prossimo ottobre raccoglierà la ricchezza di riflessioni che questo documento sta già suscitando.

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