Steve Jobs

Il dramma di un grande genio tra passione lavorativa e difficoltà negli affetti. La regia di Danny Boyle non delude
Dal film "Steve Jobs"

Computer, Macintosh, mouse, icone, iPhone, iPad, iPod, tutte cose legate a Steve Jobs: per quel che le riconosciamo buone dobbiamo riconoscenza a lui. Di riconoscimenti, in realtà, ne ha avuti tanti in vita e in morte. È per questa ragione che il film attira, la curiosità di sapere come fosse fatto questo genio, a modo suo benefattore dell'umanità. E il lavoro di Danny Boyle non delude, sostenuto da un soggetto ben architettato e da attori ottimi (Michael Fassbender e Kate Winslet), premiati per la loro recitazione.

Il periodo preso in esame è quello di 15 anni, nell'arco dei quali Steve presentò i suoi tre principali prodotti da un teatro. Si tratta dei momenti dei loro lanci: Macintosh, NeXT, iMac. Tutte le problematiche son affidate a colloqui serrati, fatti nella tensione dell'imminente uscita sul palco, che danno idea dei suoi rapporti di lavoro con subordinati ed avversari e con i familiari, soprattutto con la figlia, che stentò a riconoscere come propria.

Un genio senza dubbio, intelligentissimo, ma sregolato, ambizioso, testardo, molto esigente con i subordinati, con problemi affettivi, conseguenze della trascuratezza subita dai propri genitori quand’era piccolo: totalmente preso dal lavoro, non dedicava tempo a curare i rapporti affettivi. Insomma, una personalità disarmonica e drammatica, che ha sofferto e fatto soffrire. Ma ce l'ha fatta a produrre qualcosa che ha avuto grandi conseguenze nell'organizzazione della società. La narrazione finisce abbastanza bene, perché ci mostra la riappacificazione con la figlia.

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