Sprechi e consumo di suolo accrescono la fame

Il forum sull'informazione sulla salvaguardia della natura apre le porte a Napoli ed entra nel cuore dei problemi: non un ambientalismo naif ma un dramma che mette a repentaglio il sostentamento di miloni di persone, perchè il cibo e il suolo non possono essere solo una merce, ma sono un diritto alla sussistenza
Haiti

Cosa possiamo fare noi per chi soffre la fame? Quanta richiesta di cibo esiste nel mondo e da quali aree? Domande pressanti per ogni coscienza, scaturite dall’intervento di Adriana Opromolla, responsabile Advocay di Caritas Internationalis, una degli illustri relatori dell’XI Forum Internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura, organizzato a Napoli dall’8 all’11 ottobre dall’associazione di giornalismo ambientale Greenaccord Onlus.

«L’assenza di una governance mondiale che affronti l’urgenza del bisogno di alimentazione è una delle cause di fondo per la quale una serie di approcci produttivistici su larga scala penalizzano intere comunità di piccoli produttori» denuncia la responsabile di Caritas internazionale, offrendo qualche proposta tanto teoricamente risaputa quanto costantemente sottovalutata. «Usiamo male le risorse a nostra disposizione, dimenticando che le nostre scelte individuali quotidiane hanno un impatto. Ci pensiamo? Attraverso programmi e progetti prima di tutto educativi efficaci questo obiettivo di miglioramento della distribuzione collettiva delle risorse è possibile, come dimostrano le esperienze delle Caritas diocesane». Dai mezzi di trasporto all’energia, dall’uso di materiali o utensili poco sostenibili, quanto siamo attenti nei consumi?

A proposito di cibo, una buona pratica arriva da Lucca. «Questa città – esemplifica Opromolla – mira a rimettere a disposizione il cibo che altrimenti andrebbe erroneamente smaltito nelle mense scolastiche, per un’iniziativa che non solo lo rimette a disposizione ma addirittura aiuta le istituzioni pubbliche favorendo un risparmio di 40.000 euro all’anno per il comune». D’altra parte iniziative come queste sono possibili in Italia grazie ad una legge chiamata in gergo “del buon samaritano”, di cui le istituzioni realmente sensibili alla riduzione dello spreco di cibo, possono servirsi. Tutela dell’ambiente, sostentamento dei piccoli agricoltori vicini attraverso scelte di consumo critico, sono per la Caritas obiettivi sui quali le istituzioni dovrebbero impostare le loro agende d’indirizzo. «Se viviamo pensandoci come una sola famiglia umana può esserci cibo per tutti», conclude Opramolla.

«Se il nostro compito è farci carico di questo mandato di Dio di custodia del creato, l’impegno verso i poveri costituisce la prioritaria azione che trae ispirazione dalla stessa moltiplicazione dei pani e dei pesci, perché tradurre in azione l’insegnamento del Vangelo in nome della cura dell’intera famiglia umana è compito di ogni uomo di buona volontà».

La domanda di nutrizione fa tuttavia i conti con un consumo del suolo che mette a rischio ogni giorno l’effettiva possibilità di risposta. Dai dati presi in esame dal forum si evince che in due anni la sola California ha perso un’area grande come 15 San Francisco a causa della cementificazione. Eppure, è previsto che, da qui al 2050, la domanda globale di prodotti agricoli crescerà del 60%. «Una contraddizione per nulla marginale che rischia di mandare in tilt la vita di intere popolazioni e di minare interi ecosistemi» denuncia Gary Gardner, direttore di ricerca del prestigioso Worldwatch Institute di Washington.

Un pericolo doppio, quello della cementificazione, perché va ad aggiungersi a una crescente pressione sul sistema agricolo mondiale. «Dobbiamo considerare che la domanda di prodotti agricoli sta aumentando a causa della crescita demografica, dei cambi di stile alimentare nei Paesi in via di sviluppo in cui si sta consumando sempre più carne e della diffusione dei biocarburanti», spiega Gardner. Un problema, quest’ultimo, che rischia di sottrarre cibo a chi ne ha bisogno. «Già oggi il 40% delle granaglie prodotte negli Usa sono prodotte per il settore dei biocombustibili. E la percentuale sale al 50% per le barbabietole da zucchero coltivate in Brasile e all’80% per il girasole prodotto in Europa».

La soluzione ovviamente non è facile ma è comunque inevitabile se non si vuole arrivare a una condizione insostenibile entro metà secolo. E le vie d’uscita non possono riguardare un solo settore. «Servono ad esempio interventi a livello di uso delle risorse idriche, per aiutare gli agricoltori a usarle meno e meglio. In questo campo, i margini di miglioramento sono impressionanti. Le realtà più attente hanno già dimostrato di poter dimezzare i propri consumi. E poi occorre ridurre gli sprechi di cibo che oggi si aggirano sui 56 kg a testa per anno in Nord America e a 13 chili nell’Africa sub-sahariana. Serve inevitabilmente un ripensamento nel settore biocarburanti». Per tutto questo è necessario impostare un cambio culturale ed economico nell'approccio al cibo, «non una merce come le altre ma un diritto universale basato su principi etici invalicabili».

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