Sorella Eloisa

Una sera dell’anno 1141 un pellegrino bussa al portone di legno del monastero di Cluny. È vecchio, trasandato, malato. Il monaco che l’accoglie, dopo aver scambiato con lui due parole, s’accorge d’aver di fronte un ospite d’eccezione. Avverte l’abate, che all’epoca era un personaggio di gran calibro, Pietro il Venerabile. Nell’austero, accogliente chiostro avviene l’incontro. Pietro il Venerabile non esita a riconoscere nel povero pellegrino il celebre filosofo Pietro Abelardo: colui che era stato il funambolo della logica; colui che, anni prima, con la forza stringente della ragione e con la sua grande capacità di comunicare, era stato il maestro acclamato e venerato da una folla di studenti che giungevano a Parigi da tutta Europa per frequentare le sue lezioni. A quell’epoca egli era – o almeno si reputava – il filosofo più brillante del momento. Era intelligente, arguto fino alla spregiudicatezza, conscio della sua caparbietà intellettuale (e, decisamente, assai vanitoso). In un tempo di cavalieri e di armi, egli sviluppò l’alta tecnica della ragione: nelle dispute pubbliche con altri filosofi, così amate dai parigini, Abelardo riuscì ad azzittirne e umiliarne più di uno. Tutto questo contribuì ad aumentare il suo fascino. Ma anche a crearsi molti nemici. Le autorità ecclesiastiche erano preoccupate per la sua capacità di mettere in luce le illogicità della fede. Anche se lui confessava, probabilmente con sincerità: La logica mi ha reso odioso al mondo… ma io non voglio essere filosofo per oppormi a Paolo, né essere un Aristotele per separarmi da Cristo. Abelardo aveva 35 anni ed era al culmine della sua carriera, quando in lui s’accese l’amore tempestoso e passionale per Eloisa, un’intelligente, colta e bella allieva sedicenne, nipote di Fulberto, canonico di Nôtre Dame. Anche Eloisa s’innamora perdutamente del maestro e l’amore fra i due è travolgente. Ma avrà tragici risvolti. Dopo tortuose vicende, e la nascita del loro figlio Astrolabio, i due amanti si sposano in segreto. Ma la famiglia di Eloisa non gradisce la faccenda, e presto scatta la spietata e crudele vendetta: Abelardo viene evirato da sicari pagati da Fulberto. Allora, su consiglio del maestro e marito, Eloisa, pur non essendone convinta, si rifugia nel monastero di Argenteuil e diventa monaca; mentre Abelardo si ritira nell’abbazia di Saint Denis. Lì scrive il Trattato sull’unità e Trinità di Dio, poi il suo celebre Sic et non. Iniziano però i suoi guai: Bernardo di Chiaravalle, il futuro santo, si schiera apertamente contro le dottrine di Pietro Abelardo; in un paio di concili le sue idee vengono rigettate e i suoi libri bruciati; nel monastero dove vive, monaci dissipati e selvaggi lo maltrattano e cercano di eliminarlo in vari modi, giungendo persino a versare vino avvelenato nel suo calice della messa… In quel tempo racconta la sua sfortunata vita nella Storia delle mie disgrazie. Quindi, deluso, vecchio e malato decide di recarsi a Roma per chiedere al papa che interceda in suo favore. Lungo il percorso si ferma a Cluny. Pietro il Venerabile, che lo accoglie, vedendolo in quelle condizioni lo sconsiglia di proseguire per Roma: la salute non lo sosterrebbe nel viaggio, inoltre, molto probabilmente, si caccerebbe in ulteriori guai. Lo invita a fermarsi nel suo monastero e si prende cura di lui. L’anno dopo Abelardo muore e Pietro il Venerabile fa trasportare la salma al convento di Eloisa, dove verrà sepolto. In quell’occasione scrive a Eloisa: Sorella venerabile e carissima nel Signore, colui al quale tu fosti prima unita nella carne, poi legata con un nodo tanto più forte quanto più perfetto, il legame della carità divina; colui con l’autorità e sotto l’autorità del quale tu hai servito il Signore, Cristo ora lo tiene al suo seno al posto tuo e come un’altra te stessa; te lo custodisce, perché, alla venuta del Signore (…) ti sia restituito. Ma non è di lui, Abelardo, che vogliamo ora parlare. Bensì di lei, di Eloisa. Anche se una presentazione di Abelardo era indispensabile per comprendere la figura di questa donna donna eccezionale, che si staglia in modo così singolare sullo sfondo del Medioevo. Quando incontra Abelardo, Eloisa è una ragazza: bella, intelligente, straordinariamente appassionata della sapienza. Ha una cultura fuori del comune, per la sua età e per l’epoca in cui vive: conosce il latino, il greco, l’ebraico. Il suo amore per Abelardo è grandioso, rimarrà forte ed esclusivo per tutta la vita, dimostrando di essere ben più d’una infatuazione giovanile. Eloisa diventa monaca senza averne la vocazione, entra in convento per seguire il desiderio di Abelardo. E mai si vergognerà di confessare che si fece suora non per fare la volontà di Dio, ma quella di Abelardo. Ma ciò non impedisce a lei – dotata d’un carattere forte e dolce – di dimostrarsi una suora esemplare, stimata e riverita da vescovi e re oltre che caramente amata dalle consorelle. Quando diventerà badessa della comunità del Paracleto, fondata per lei da Abelardo, sorella Eloisa saprà essere guida sicura e materna per la giovane comunità di suore. L’epistolario fra Eloisa e Abelardo, scritto quando i due sposi sono ormai lontani – lei in convento lui in monastero – è un impressionante documento umano. Nelle sue lettere Eloisa, ormai madre badessa, confida ad Abelardo che il suo amore per lui è immutato e che il ricordo della passione la accompagna continuamente. Non ha vergogna di dire che per lei è il ricordo più dolce della vita. Abelardo invece vede nei suoi guai la meritata punizione divina e nella sua sofferenza un mezzo per unirsi al Cristo. Invita anche lei a fare così. Lei risponde che ama immoderatamente soltanto lui, e che non ha quella fede che egli le chiede di avere. Lui non è contento della sua risposta. Allora Eloisa non insisterà più: non ritornerà più sull’argomento e si limiterà nelle lettere successive a chiedergli consigli su come vivere al meglio il cristianesimo con le sorelle suore. Per le quali ella redigerà una regola – le Institutiones nostra – basata su una precedente scritta da Abelardo, ma assai più succinta e pragmatica. Quella di Eloisa è una delle rare regole monastiche femminili che nel primo millennio vennero scritte da pugno di donna ad uso della propria comunità. La regola scritta da Eloisa, è ora presentata in un bel volume, Regole monastiche femminili (Millenni Einaudi), insieme alle tante altre che segnarono la rigogliosa esperienza spirituale vissuta da molte donne dentro le mura del convento. Queste regole, che segnano una pagina grandiosa della storia della femminilità, non affrontano soltanto il regime dei pasti, le mansioni della portinaia e della badessa, ma anche il comportamento da tenere verso le sorelle più giovani, i sentimenti da assecondare, quelli da tenere a bada. Fanno capire che, paradossalmente, proprio tra le mura del convento, le donne hanno avuto un’autonomia – impedita, invece, nella società di allora – che ha permesso di fare una straordinaria esperienza umana e divina: lì hanno imparato ad autogestirsi, a convivere e a conoscersi. Eloisa seppe magistralmente coniugare il suo sfortunato amore – peraltro mai rinnegato – per Abelardo con la più sincera dedizione alla scelta di Dio nella vita claustrale. Eloisa morirà 22 anni dopo Abelardo e verrà sepolta nella sua stessa tomba. Una leggenda narra che, quando il suo corpo fu calato nella tomba, Abelardo aprì le braccia per abbracciarla. È una leggenda tanto stravagante quanto bella, perché vuole suggellare il loro amore terreno che, come dice il Cantico è forte come la morte. Ma ancora più bella è la straordinaria e dignitosa vicenda umana di Eloisa che, andando oltre l’impossibilità di godere del pur legittimo amore umano, fu capace di non crogiolarsi nella sua sventura, ma di indirizzare la sua vita al servizio degli altri e alla gloria di Dio.

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