Solo tre sigarette

La vita in carcere raccontata attraverso due esperienze di suor Massimina fatte di incontri, dolori, perdono e amore

L’incontro con la brigadista

Quel giorno terminavo il mio servizio come infermiera alle 20. Arrivata al blocco femminile mi dicono che c’è una nuova detenuta, molto pericolosa, e di non avvicinarmi troppo al blindo. Fuori nevicava e si era formato uno strato di ghiaccio così che il percorso in bicicletta non era facile. Assorta in questi pensieri si era cancellato dalla mia mente l’avvertimento: cercavo solo di fare sollecitamente il lavoro per ritornare in comunità quanto prima.

 

Terminata la terapia nelle due sezioni, recito la preghiera serale: vestita di bianco, alzo le mani verso il cielo – gesto ripetuto dalle 60 ragazze. Dopo aver invocato la benedizione della Madonna, insieme alle grazie della salute, della gioia e della libertà, le detenute mi salutano in coro con un «Buenas noches, mamy, vai piano in bicicletta».

 

In quel momento la donna tanto temuta, una brigadista che per me era solo una figlia di Dio, gridò forte: «Sorella, venga qui… quella sua preghiera mi ha folgorata. È da tanti anni che giro le carceri italiane ma nessun prete o suora mi ha avvicinata. Ora voglio la comunione, sì, voglio Gesù». Io le assicurai che l’indomani sarebbe venuto il cappellano, con cui poteva confessarsi e poi ricevere l’Eucarestia, ma lei cominciò a gridare ancora più forte ripetendo: «Non domani, adesso, perché domani all’alba mi porteranno in una destinazione ignota».

 

Si era fatto tardi e la neve cadeva sempre più. Io le chiesi se era disposta a perdonare: «No! –disse – non perdonerò mai!» Con calma le dissi: «Gesù non può entrare in un cuore ove non vi è il perdono, la saluto perché è tardi», e andai al piano di sotto, nello spogliatoio. All’improvviso sento picchiare forte alla porta: un agente mi invita a risalire le scale perché, dice, «Quella pazza vuole l’infermiera. Vada, altrimenti ci farà impazzire». La trovai inginocchiata per terra che, piangendo, ripeteva: «Sì, perdono, perdono, tutto, ma tu portami Gesù!»

 

Io mi misi simbolicamente nelle mani del fondatore del mio ordine, il beato Carlo Steeb, e, avendo fede in lui, e davanti alla sbarra dove quella cara sorella si era inginocchiata ascoltai una lunga e dolorosa litania. Alla fine, prendendole le mani oltre le sbarre, la invitai a recitare l’Atto di dolore che lei non ricordava. Insieme abbiamo allora innalzato una preghiera spontanea a Dio, chiedendogli perdono… poi un bel segno di croce e via nella chiesetta a prendere l’Eucarestia. Gesù entrava per la prima volta nella cella del carcere e… nel cuore di questa sorella che in quel momento era come trasformata, il suo viso era estremamente luminoso!

 

Finalmente mi avviai verso casa. Acqua e neve mi bagnavano tutta. Il gelo mi penetrava le ossa. Erano le 22. La mia gioia però era indescrivibile, mi sembrava che ogni fiocco di neve fosse una rosa bianca, l’acqua che mi scorreva fino ai piedi un letto di rose e la bicicletta che scivolava sul ghiaccio tante carezze che mi faceva il buon Dio! Seppi dalla sua amica di cella che pregò inginocchiata tutta la notte. Mi fece un regalo: con un ramoscello d’olivo secco formò una bella crocetta, che mi lasciò insieme ad una lettera che non si può leggere senza… lacrime. Trovai crocetta e lettera il mattino seguente, ma lei non c’era più.

 

Parlai dell’accaduto con il cappellano del carcere, il quale mi rincuorò dicendo che se mi fosse capitato ancora di trovarmi in una situazione di così grave emergenza, avrei potuto comportarmi nello stesso modo. Ringraziai Gesù e lo pregai di darmi ali come colomba per volare nel cuore di queste mie care creature.

 

Solo tre sigarette

Una ragazza era chiusa in cella da parecchi giorni senza poter conversare con nessuno. Visto che quel trattamento non veniva mitigato, tentò il suicidio. Salvata all’ultimo istante, la baciai dicendo: «Mi chiami mamma e poi mi dai questo dispiacere?» Lei piangendo mi disse: «Vedi mamma non ho nessuno, sono segnata come pecora nera… non ho nemmeno una sigaretta…»

Con fatica domandando qua e là, le trovai tre sigarette. Lei fu molto contenta e mi chiese se il giorno dopo gliene avessi potuto portare «altre tre, tre soltanto». Io la rassicurai, sapendo che a casa qualche piccola riserva per loro vi era sempre, ma quel giorno non ce n’era neppure una e non potevo comprarle perché il mio turno cominciava alle 6 del mattino, quando le  tabaccherie sono chiuse.

 

Allora mi affido a Gesù affinché mi aiutasse a non mancare alla promessa fatta: «È a Te che l’ho promessa – pregavo – pensaci Tu!» Mi avviai in bicicletta cantando le Lodi a Gesù, sicura che Lui ci avrebbe pensato. Ad un certo punto, vidi per terra davanti alla ruota della bicicletta un pacchettino, mi fermai a raccoglierlo e lo misi nel cestello della bici. Poi, curiosa, lo aprii: dentro c’erano solo tre sigarette, proprio come mi era stato chiesto. 

 

 

Porto le tre sigarette a quella signora che, fissandomi mi dice: «Tu hai Dio!» Raccontai quel fatto agli agenti e al medico, poco credente e non praticante, che dopo quel giorno mi chiede spesso di pregare per lui dicendomi «Chiedi al tuo Dio che avvenga a me come con le tre sigarette». Quel giorno il Signore mi ha fatto capire che non devo fermarmi a guardare le foglie che cadono nel giardino della mia vita, ma ai fiori che vi germogliano.

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