Il sogno di Hanan Ashrawi

Cioè far sì che i Paesi europei, Italia in testa, riconoscano Gerusalemme Est come capitale della Palestina. E che la non violenza vinca sulle armi

Hanan Ashrawi balzò agli onori delle cronache nel 1991, quando divenne portavoce della delegazione palestinese al processo di pace per il Medio Oriente. Colpì tutti quella docente universitaria, una laurea all’Aub di Beirut e un master negli Usa, 45 anni all’epoca, a capo della delegazione palestinese. Per la prima volta l’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, presentava un volto nuovo rispetto a quello di Yasser Arafat. Colpì naturalmente il fatto che fosse donna ma anche cristiana (anglicana), decisamente autonoma rispetto alla dirigenza dell’Olp. E poi seria, competente e pure simpatica. Oggi Hanan Ashrawi è ancora parlamentare palestinese. Il suo piccolo partito, la Terza Via, ha due seggi in Parlamento, ma non smette di mediare fra i due grandi schieramenti, spesso in contrasto fra loro, Hamas e Fatah. La dottoressa Ashrawi è anche responsabile del Dipartimento cultura e informazione dell’Olp.

Hanan Ashrawi

Dopo la dichiarazione di Donald Trump, subito accolta con compiacimento dal premier israeliano Netanyahu, a proposito di Gerusalemme capitale di Israele, è stato chiesto ad Hanan Ashrawi il suo pensiero sulla situazione che l’annuncio del presidente statunitense viene a creare in Palestina e nel mondo arabo. Tra le altre, è molto interessante un’intervista esclusiva per l’Huffington Post raccolta da Umberto De Giovannangeli, pubblicata alcuni giorni fa. Molto pacata ma chiara, Hanan Ashrawi esprime il suo dispiacere per la decisione del presidente statunitense di trasferire da Tel Aviv a Gerusalemme l’ambasciata Usa presso lo Stato ebraico: «Con questa decisione – afferma – l’amministrazione Trump ha distrutto ogni chance di pace tra israeliani e palestinesi, schierandosi apertamente con gli occupanti israeliani».

Che speranza possono avere adesso quasi 5 milioni di palestinesi residenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, per non parlare degli altri 7 milioni che vivono in Israele (comunque ben 1,5 milioni) o rifugiati in Paesi arabi vicini (Giordania, Siria, Libano), spesso come profughi, o dispersi nel mondo? È questo ormai un grande problema, perché quando si calpesta la speranza, crescono rabbia e frustrazione. E la scelta di Trump non sembra purtroppo tenere in nessun conto la speranza dei palestinesi. Ma dovrà vedersela con le conseguenze, che, come la storia recente ci mostra, tutti noi saremo costretti a subire, soprattutto europei e americani.

Per fortuna, almeno stavolta, l’Ue è stata ferma e unita nel non accettare la decisione statunitense, e una ferma Mogherini ha saputo tenere testa a Netanyahu a Bruxelles, dicendo: «Il premier Benjamin Netanyahu stamani ha detto di aspettarsi che altri Paesi spostino le loro ambasciate. Può tenere le sue aspettative per altri, perché dai Paesi Ue questo non avverrà».

In questo muro contro muro senza costrutto, la speranza di Hanan Ashrawi trova rifugio in un sogno, un sogno difficile, un sogno che ha bisogno di grandi dosi di coraggio. «Questi 30 anni – sostiene – hanno rafforzato in me la convinzione che esiste una “terza via” tra rassegnazione e deriva militarista. È la via della disobbedienza civile, della resistenza popolare non violenta. So bene che è una via difficile da praticare, ma non ne conosco altra migliore».

Per quanto riguarda il nostro Paese, la dirigente palestinese fa una richiesta, anche questa piuttosto difficile da immaginare come realizzabile: «L’Italia può lanciare un segnale di speranza e di attenzione ai palestinesi: riconosca lo Stato di Palestina. Con Gerusalemme Est come capitale». Cioè una parte della città, quella stabilita dai confini del 1967. È come dire che Gerusalemme è la capitale di due Stati: Israele e Palestina. Entrambi con diritto di esistenza.

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