Sinodo 2015, l’arte dell’accompagnamento

Nella relazione conclusiva si sottolinea la necessità di accogliere le fragilità delle famiglie e di non lasciare soli, mentre ferma è la condanna di chi arriva a ricattare i Paesi poveri imponendo leggi sulle unioni omosessuali
Il papa al Sinodo

Un grande sì alla famiglia”. Le parole del cardinale di Vienna, Schönborn, sintetizzano l’esito del Sinodo che per tre settimane ha riflettuto sulla vocazione e missione della famiglia. «La famiglia non è superata, ma è il fondamento, la rete più sicura di sopravvivenza di una società».  Non sono emerse regole generali o accessi incondizionati ai sacramenti, ma approfondendo la strada aperta da papa Wojtyla con la Familiaris consortiosi è prospettata la via del «discernimento» e dell’«accompagnamento», come indispensabili.

 

La relazione finale riflette il percorso su cui i padri sinodali hanno camminato durante queste tre settimane. Le tre parti che racchiudono 94 articoli di cui, alcuni molto complessi (punti 84, 85, 86), hanno raggiunto l'approvazione della maggioranza dei 2/3, cosa non accaduta nel Sinodo straordinario del 2014. Scegliamo delle parole chiave per sintetizzare il documento.

 

Indissolubilità. “La testimonianza di coppie che vivono fedelmente il matrimonio mette in luce il valore di questa unione indissolubile e suscita il desiderio di rinnovare continuamente l’impegno della fedeltà”. Un’unione “tra un uomo e una donna chiamati ad accogliersi reciprocamente e ad accogliere la vita… una grande grazia per la famiglia umana”.

 

Formazione. I Padri ricordano che “il matrimonio cristiano non può ridursi ad una tradizione culturale o a una semplice convenzione giuridica: è una vera chiamata di Dio che esige attento discernimento, preghiera costante e maturazione adeguata. Per questo occorrono percorsi formativi che accompagnino la persona e la coppia in modo che alla comunicazione dei contenuti della fede si unisca l’esperienza di vita offerta dall’intera comunità ecclesiale”. Agenti chiave sono le coppie sposate “in grado di accompagnare i nubendi prima delle nozze e nei primi anni di vita matrimoniale, valorizzando così la ministerialità coniugale”.

 

Educazione dei figli. Tra le sfide fondamentali poste alle famiglie oggi, c’è quella educativa, “resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e dalla grande influenza dei media. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di essere nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione della fede, della spiritualità e delle virtù che danno forma all’esistenza”.

 

Convivenze e unioni di fatto. Il Sinodo intende promuovere il discernimento pastorale delle situazioni in cui l’accoglienza del sacramento del matrimonio “fatica ad essere apprezzata, oppure è in vario modo compromessa. Mantenere vivo il dialogo pastorale con questi fedeli, per consentire la maturazione di una coerente apertura al Vangelo del matrimonio e della famiglia nella sua pienezza, è una grave responsabilità”.  Di fronte al crescente numero di coppie che in molti Paesi convivono, senza alcun matrimonio né canonico, né civile il Sinodo afferma che tali situazioni “vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino di conversione verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo”.

 

Persone omosessuali.  Mentre la Relazione sottolinea che “la specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale”, precisa che per i progetti di equiparazione delle unioni tra persone omosessuali al matrimonio, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote». Il Sinodo inoltre ritiene “del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso”.

 

Accompagnamento. «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa arte dell’accompagnamento, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro”. Il dramma della separazione spesso giunge alla fine di lunghi periodi di conflitto, che fanno ricadere sui figli le sofferenze maggiori. “La solitudine del coniuge abbandonato, o che è stato costretto ad interrompere una convivenza caratterizzata da continui e gravi maltrattamenti, sollecita una particolare cura da parte della comunità cristiana”.

 

Si trova anche un richiamo alla giustizia “nei confronti di tutte le parti coinvolte nel fallimento matrimoniale”.  “La faticosa arte della riconciliazione, che necessita del sostegno della grazia, ha bisogno della generosa collaborazione di parenti ed amici, e talvolta anche di un aiuto esterno e professionale. Nei casi più dolorosi, come quello dell’infedeltà coniugale, è necessaria una vera e propria opera di riparazione alla quale rendersi disponibili. Un patto ferito può essere risanato: a questa speranza occorre educarsi fin dalla preparazione al matrimonio”. Si dichiara grande apprezzamento verso “la testimonianza di coloro che anche in condizioni difficili non intraprendono una nuova unione, rimanendo fedeli al vincolo sacramentale, merita l’apprezzamento e il sostegno da parte della Chiesa”.

 

Discernimento e integrazione. Particolare attenzione nella Relazione si dà alla complessa e discussa questione dei battezzati divorziati e risposati civilmente. Essi “devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, (…)  necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità”.

 

Viene sottolineato che su questo tema  Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84).

 

E la Relazione prosegue:“I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio”.

 

La spiritualità familiare.  “La famiglia, nella sua vocazione e missione, è veramente un tesoro della Chiesa”, ma deve fare i conti con le fragilità. Non per nulla papa Francesco ama ricordare che tre sono le parole sulla porta d’ingresso della vita della famiglia: “permesso?”, “grazie”, “scusa”. Il documento ricorda “la speciale vocazione degli sposi a realizzare, con la grazia dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale”.

 

Un augurio. La relazione si conclude con l’augurio che “il frutto di questo lavoro”, consegnato al Papa, dia speranza e gioia a tante famiglie e orientamento ai pastori, e a Francesco gli chiedono di valutare “l’opportunità di offrire un documento sulla famiglia”. Il Sinodo quindi continua.

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