Simposio indù-cristiano

Dialogo è un termine usato ormai da tanti con la convinzione che rappresenti la soluzione di tante tensioni ed atrocità. Ma spesso il dialogo appare una chimera. Eppure si tratta di provare e riprovare. Addentrandosi nel mondo di chi è impegnato in quest’avventura epocale, si ha l’impressione di ritrovarsi nel cantiere di un immenso mosaico, dove tutti cercano di porre il proprio tassello al posto giusto e nel momento giusto. L’India sembra essere il terreno privilegiato per un dialogo fra religioni e culture. Gli sforzi sono molteplici e, sia pure in un contesto spesso caratterizzato da tensioni e scontri fra gruppi religiosi, resta un banco di prova per contatti fra religioni millenarie, che qui sono nate (induismo, buddhismo, giainismo e sikkismo), o che vi sono giunte dall’esterno (islam e cristianesimo) o che vi sono presenti in ragione quasi infinitesimale (ebraismo e zoroastrismo). Ma anche qui le cose non sono sempre facili, soprattutto a causa di retaggi storici. Le tensioni odierne fra indù e mussulmani, o fra indù e cristiani, affondano le loro radici in secoli di invasioni e conquiste islamiche dei Moghul, o di colonizzazione occidentale, che ha significato sfruttamento economico e conversioni coatte. Questi fatti storici hanno creato degli stereotipi difficili a morire, che ancor oggi creano tensioni e scontri. È in quest’ambiente che i Focolari da vari anni si sono incamminati a dialogare con amici di cultura e religione indù. Sono stati anni d’ascolto reciproco, e di una conoscenza spesso nata dall’ammissione della propria ignoranza riguardo all’altro ed alla sua cultura. Un rapporto nato e cresciuto da esperienze e contatti vitali con espressioni culturali e accademiche di notevole valenza. Proprio per il successo che questa strada ha presentato negli ultimi anni, si è organizzato un secondo simposio indù cristiano, dopo il primo del giugno 2002. Se in quell’occasione ci si era concentrati sul rapporto con Dio e con i fratelli, caratterizzato dall’amore, che nella tradizione indù va sotto nome di bhakti, per questa nuova esperienza si sono volute esplorare le rispettive strade all’Assoluto: Vie di spiritualità nel cristianesimo e nell’induismo. Il dialogo è iniziato già in fase preliminare, quando alcuni cristiani si sono incontrati con gli amici indù per formulare il titolo, e per individuare le presentazioni da proporre agli interlocutori cattolici. Ci si è accorti di quanto i termini siano legati ad accezioni ed esperienze religiose diverse, non riducibili le une alle altre. Lo sforzo di capire comunque i termini proposti nei loro significati storici e religiosi, ha fatto da piattaforma a quanto sarebbe successo. Ha richiesto, infatti, ascolto, rimozione di concetti preesistenti che stigmatizzavano in modo riduttivo la cultura altrui. Questi incontri preliminari in India, con gruppi di intellettuali a Mumbai e con gandhiani nel sud, ha permesso di mettere a fuoco quanto ciascuno si aspettava da questa nuova esperienza: non tanto un esercizio accademico, ma piuttosto uno sforzo di mutua comprensione nella dinamica richiesta dall’amore, regola d’oro di ogni fede e cultura religiosa. Si è quindi instaurato uno sforzo comune per uscire dalle proprie categorie intellettuali e religiose, e comprendere, per quanto possibile, quelle dell’altro. Da parte cristiana si sono proposte le vie classiche verso Dio, espressioni dello sforzo millenario di arrivare a lui, raggiungendo nel segreto del fondo dell’anima, vie culminate in espressioni quali quella del castello interiore di Teresa d’Avila. Ma si è pure messa in luce la novità che il cristianesimo oggi offre con vie intensamente comunitarie, che sembrano proporre l’edificazione di un castello esteriore, dove Dio possa essere raggiunto proprio nella comunione tra i credenti, secondo la sua promessa del dove due o più sono riuniti nel mio nome ivi sono io in mezzo a loro (Mt 18, 20). Qui la presenza e la parola di Chiara Lubich sulla spiritualità di comunione sono state decisive, di fronte a persone, come gli indù, estremamente sensibili al divino ed ai doni che l’Assoluto distribuisce agli uomini. Anche da parte indù sono state presentate esperienze di santi, vie di spiritualità, modi di pregare che hanno offerto la possibilità di scoprire concetti e dimensioni sconosciute all’occidentale; ma anche la possibilità di toccare con mano la capacità unica di questo popolo di raggiungere un rapporto con l’Assoluto. Ma la grossa novità di questo quattro giorni di contatti culturali e di vita comune si è spesso evidenziata nei momenti di dialogo, in cui sono emerse le differenze culturali e concettuali. Si è assistito ad un fenomeno molto interessante, ed in certo senso profetico. Raramente, infatti, le domande erano pienamente comprensibili all’interlocutore, proprio perché formulate a partire da un humus diverso, e quindi spesso alieno alle categorie dell’altro. E le risposte quasi mai toccavano i punti richiesti o sembravano soddisfare gli interrogativi. Tuttavia a questo stato di cose, apparentemente limitante, è corrisposta una crescente comunione personale di esperienze e sentimenti, che hanno finito per unire tutti i partecipanti in un clima spirituale in cui le differenze non erano smorzate o ignorate, ma anzi offrivano motivo per una crescente comunione nella diversità, che rispettava l’altro nella sua tipicità. È quindi cresciuta progressivamente la coscienza di come il vero dialogo non stia affatto in un appiattimento delle proprie categorie di pensiero e delle proprie esperienze religiose e spirituali, quanto nel farne dono all’altro. È così che si può cogliere la ricchezza che sta in ciascuno ed in ogni cultura ed esperienza religiosa. Non è un esercizio facile, spesso ci si rende conto di quanto ciascuno sia ancorato alla propria struttura; ma si può senza dubbio rimettersi sulla giusta traiettoria. Un piccolo episodio. Al termine di un intervento di un’indù, condizionato dalla moderatrice, anch’essa indù, chiaramente a disagio per quanto veniva espresso, ha fatto notare incongruenze ed inesattezze di quel discorso. Risultato: un chiaro clima di disagio, che ha messo alla prova l’impegno al dialogo dei presenti. Grazie ad altri interventi su quel testo – che hanno sottolineato gli stessi problemi, ma con un tono pacato, mettendo in evidenza anche la validità dello studio -, la stessa moderatrice ha avuto più tardi il coraggio, veramente inconsueto in queste occasioni, di affermare: Vorrei scusarmi per quanto ho detto in precedenza. Senza dubbio il mio spirito accademico ha preso il sopravvento su quella legge dell’amore che vogliamo vivere in questo congresso. Si capisce quindi come il prof. Anant Rambhachan, della Saint Olaf University del Minnesota, abbia dichiarato al termine dei lavori: Ho vissuto un’esperienza molto diversa nell’ambito del dialogo. È un seme che devo ora interiorizzare e vedere come portare ad altri nell’ambiente in cui vivo. Non è, questa, una esperienza che può finire qui.

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