Sfumato: l’ultima visione di Ouradame

La performance del coreografo francese di origini algerine celebra la bellezza del nostro pianeta, regalandoci meravigliose immagini poetiche
Ouradame

Due corpi distesi al centro della scena, in silenziosa attesa di qualcosa che deve iniziare, avvolti da una nube di fumo primordiale che dal palco si disperde aerea e accarezza le prime file della platea.

Un brano minimalista scandisce i primi momenti, mentre la sala è inghiottita in un silenzio ancestrale. Il tempo si dilata e l’occhio si perde a seguire le mille capriole di fumo, le strane forme che magicamente appaiono e si dissolvono. Poi, quasi d’improvviso, inizia la danza.

La luce piove dall’alto nascondendo i volti, frantumando i corpi dei danzatori in schegge luminose e mobilissime, mentre una voce fuori campo narra le tragedie del nostro pianeta: gli uragani, gli tzunami, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello del mare.

Una successione di quadri racconta la fragilità e il dolore, l’energia e la forza dei popoli più colpiti dalle calamità naturali del nostro tempo. Sfumato, come lo sguardo che spesso stenta a cogliere i dettagli di realtà così lontane dal nostro quotidiano. Sfumato, come le atmosfere eteree che il coreografo ci restituisce.

Il lavoro che Ouradame ha presentato al Teatro Eliseo di Roma per Romaeuropa Festival è senza dubbio il risultato di una ricerca profonda e costante, di un percorso fatto con i danzatori verso una stilizzazione del movimento, che appare così liberato da ogni forma di retorica e per questo ancora più efficace. Il corpo così sollevato da ogni vincolo di fedeltà narrativa cede alla bellezza della sue infinite declinazioni: si contorce, trema, rallenta, si stanca, respira.

La bellezza e la poesia delle immagini sono costruite non solo grazie all’assoluto dominio che i danzatori dimostrano di avere del proprio corpo e delle linee del movimento coreografico, ma anche grazie ad un impianto visivo e scenografico spettacolare.

Benché il palcoscenico sia vuoto di ogni elemento, fatta eccezione per un pianoforte a mezza coda immerso nella penombra, si succedono effetti di forte impatto: dalla graticcia scende una pioggia fitta e costante. Sotto la pioggia torrenziale i danzatori si muovono, creando giochi con l’acqua. Anche quando la pioggia cessa di scrosciare sul palco, resta una superficie acquatica che consente ai danzatori una serie di soluzioni di forte impressione: il riverbero dell’acqua in movimento si riflette sul soffitto della sala, dando la straniante sensazione di essere immersi nelle profondità marine.

Il lavoro di Ouramdane sembra condensare in una sintesi davvero ben riuscita le potenzialità di una commistione di linguaggi che non scade mai nello sperimentalismo fine a sé stesso e mantiene sempre viva l’emozione di assistere a qualcosa che accade sotto i nostri occhi.

Allo stesso tempo non rinuncia alla possibilità di creare rimandi a tempi e luoghi che esulano dal qui e ora, proiettando immagini reali, in pieno stile docu-fiction, senza che questo mini l’organicità dell’opera.

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