Sesta e Settima di Beethoven

la vecchiz

Continua all’Auditorium di via della Conciliazione a Roma il ciclo beethoveniano diretto da un convincente Francesco La Vecchia. La Sesta Sinfonia in fa maggiore detta Pastorale, composta nel 1808, è così popolare che si potrebbe eludere qualsiasi commento. Eppure, ad ogni ascolto essa rivela tutta la bellezza dell’amore per la natura così tipico del romanticismo e in particolare di un Beethoven che, si sa, passava giorni interi in mezzo ai campi e ai prati intorno a Vienna. Qui egli ascoltava le voci del creato non in modo da descriverlo poi con grazia e vivacità, come fece il Vivaldi delle Quattro stagioni; ma invece, assorbendone lo spirito che lo fa vivere e fermandosi a contemplare i fenomeni atmosferici e la gente che ci vive a contatto con sana gioia e sensibile partecipazione. La natura per Beethoven è sempre fonte di pace e di gioia. Ed è questo che la sinfonia respira e fa respirare ad ogni ascolto. Chi ama la natura, così, non può che rimanere incantato di fronte alla musicalità fresca, alla cantabilità semplice dei temi, alle voci del creato reinventate dalla sapiente e chiara orchestrazione.

 

Diverso il caso della Settima che, come le altre sinfonie di numero dispari, è drammatica, energica. Un ritmo di frenesia dionisiaca l’attraversa, giungendo nell’ultimo movimento a quella esaltazione della danza dell’universo che stupì Wagner e stupisce anche noi per la violenza e la forza: sembra che il cosmo sia colto nel suo movimento più frenetico e vitale. Una sola pausa: l’Allegretto, famosissimo, del secondo movimento, con quel tema lento e triste che passa dagli archi ai fiati, si unisce e di separa da ciascuno in diverse variazioni, una musica che è un sussurro dell’anima: l’altro volto di Beethoven, quello intimo e dolente.

 

Il pubblico ha accolto con un’ovazione la direzione chiaroscurata della Settima, pulsante in ogni sezione dell’orchestra; forse meno convicente l’esecuzione della Sesta, con qualche problema per i fiati, nonostante la bravura dei due primi violoncelli. Ci si sarebbe aspettato un poco più di “anima”.

Indiscutibile comunque l’impegno dell’orchestra e del direttore e la partecipazione appassionata di un pubblico sempre crescente. Beethoven piace sempre, e tutto.

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