Serve una nuova Resistenza

Giordano Bruno Canella, partigiano della prima ora sulle Prealpi bellunesi, invita non solo a onorare i caduti, ma soprattutto a imbracciare le “armi portatrici di vita”
ANPI

Sfatiamo il primo luogo comune: la Resistenza non è solo affare per ultranovantenni. Prova ne sia il fatto che buona parte delle 578 sedi dell’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia (Anpi) è dotata di pagina Facebook – i cui membri certo non hanno fatto la guerra –, e conta diversi iscritti anche tra i giovani. E il secondo mito da sfatare è che i – pochi, ormai – che hanno combattuto all’epoca siano necessariamente arroccati nei loro ricordi, senza sapere o voler vedere il presente: Giordano Bruno Canella, tra i fondatori delle brigate partigiane nelle prealpi bellunesi, ammette sì di pensare continuamente all’anniversario della Liberazione in questi giorni, ma la ragione non è la memoria di ciò che è stato.
 
Come è iniziata la sua esperienza nella Resistenza?
«Ero nell’esercito e dopo l’8 settembre non ci ho pensato un istante: se fossi riuscito ad arrivare sano e salvo a casa da mia moglie, a S. Antonio Tortal (Belluno), non sarei stato a guardare. Per me, cresciuto in una famiglia antifascista, era una scelta obbligata davanti alla mia coscienza. Sono arrivato il 12 settembre, e due giorni dopo avevo già preso contatto con militanti di diversa estrazione politica per formare dei gruppi partigiani».
 
I ricordi di quegli anni sono certamente numerosi: ce n’è qualcuno di particolarmente significativo?
«È difficile fare una scelta: ricordo la vita con mia moglie e il figlio piccolo nella nostra casa, dove trovavano rifugio diversi partigiani. E poi il luglio del ’44, quando abbiamo occupato la vallata di Lago, e fino a settembre siamo riusciti a creare una sorta di “repubblica indipendente”. O ancora quando, nel febbraio dello stesso anno, sono stato catturato e portato a Belluno: credevo mi avrebbero giustiziato o deportato in Germania, invece sono stato liberato grazie all’intervento di una persona amica. Il 25 aprile, poi, è stato un momento quasi comico: mi trovavo a Conegliano, ed era arrivata una colonna di carri armati tedeschi in ritirata. Abbiamo iniziato a trattare con loro: non so davvero cosa volessimo fare… Ma non è a questo che penso in questi giorni».
 
A che cosa, allora?
«Non ho in mente la “mia” Resistenza, ma la situazione in cui ci troviamo oggi. La Costituzione nata allora ci ha consentito di vivere insieme per più di 50 anni, ma purtroppo noto con costernazione il decadimento progressivo a cui siamo andati incontro: gli ideali per cui abbiamo combattuto vengono messi sotto le scarpe, i partiti sono diventati dei comitati d’affari… Non basta più onorare i caduti, è necessaria una “nuova Resistenza”: mi permetto di invitare i giovani a resistere alla tentazione del successo facile, da raggiungere con la furbizia e a spese altrui; a quella di voler essere applauditi, anche in assenza di vero merito; alla violenza, spesso propagandata dai media. Una Resistenza da combattere non con le armi portatrici di morte, ma con le “armi della vita”: la capacità critica, l’impegno, e la solidarietà, che è forma suprema di giustizia».
 

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