Se vuoi la pace, prepara la pace

Ad una settimana dalla dipartita di Pino Quartana, storico collaboratore di Città Nuova, impegnato fin dagli anni '60 nelle espressioni sociali del Movimento dei Focolari, lo ricordiamo con un articolo pubblicato sulla nostra rivista, dopo lo scoppio della guerra in Iraq. La sua attualità è dirompente
bambini siriani rifugiati in libano

Di Pino Quartana, ciascuno dei redattori di Città Nuova potrebbe raccontare un aneddoto o una storia. La sua passione per il lavoro, per l'impegno sociale, per il rinnovamento dell'umanità è nota e non faceva sconti né alle persone, né alle parole che si prestavano a raccontarla. Il 30 dicembre Pino Quartana si è spento dopo una lunga malattia, che lui viveva come altro modo di costruire la società a cui era sempre chiamato a dare un contributo, pur da ammalato. Vogliamo ricordarlo con un articolo scritto dopo lo scoppio del conflitto in Iraq, a commento dell'intervento di Giovanni Paolo II sul no alla guerra. È una piccolissima cosa, ma prodromo di ben altre pagine che racconteranno di lui e del suo instancabile impegno anche per il nostro gruppo editoriale.


«Per quanto si tenti di soffocarlo o minimizzarlo, malgrado tutte le critiche e i distinguo, il no alla guerra di Giovanni
Paolo II trova risposta dal fondo della coscienza di tanta parte dell'umanità, anche di quella che non scende nelle piazze.
 È una volontà inscritta nel cuore delle nuove generazioni – e non solo dell'Occidente cristiano – cresciute nell'era delle comunicazioni che hanno rimpicciolito il mondo, nel tempo della caduta dei muri e delle ideologie discriminanti.

Refrattarie, per la più parte, a propagande nazionalistiche o trionfalistiche, rispondono con un rifiuto che spesso non sanno esaurientemente motivare, subiscono le strumentalizzazioni di pacifisti spesso interessati e prestano il fianco alle argomentazioni di politici e politologi, di giuristi, filosofi… Ma continuano a dire di no. Seguono il loro istinto di pace,
profezia del mondo futuro, così ovvio per loro, così lontano, invece, utopico per gli altri che non si accorgono di come il tempo è corso in avanti, di come i confronti col passato, anche recente, sono improponibili. Mai la guerra ha significato quello che significa oggi, le conseguenze della tragedia odierna non sopportano alcun paragone.

Per anni nell'incubo della guerra fredda, si è ripetuto il detto antico: «Se vuoi la pace, prepara la guerra», invece di quello
pronunciato da Igino Giordani più di quaranta anni fa e poi ribadito da Paolo VI: «Se vuoi la pace prepara la pace». Degno,
questo, del cammino fatto dalla parte migliore dell'umanità, consono al messaggio cristiano ripetuto da duemila anni e all'insegnamento delle figure più nobili emerse anche dagli altri contesti religiosi o da un illuminato umanesimo, propugnatrici della non violenza.

Ma come si doveva preparare la pace? Come la si può preparare? Con opere di giustizia. Da oltre quarant'anni, dopo il flagello dell'ultima guerra che nessuno voleva si ripetesse, quanti milioni di uomini in tutte le parti del mondo chiedono giustizia? Una giustizia negata, impedita dalla difesa di immensi interessi, dal dispendio spaventoso di ricchezze per gli armamenti, dall'indifferenza, da un egoismo tanto ottuso da farsi autolesionista. Oggi il mondo che ha sete di pace deve perseguire la giustizia, ma non soltanto come una nobile virtù umana: mancano ormai le motivazioni verso di essa, se non le ritroviamo in radice in un amore di natura più alta che sente ripulsa per ogni barriera, ogni razzismo, ogni disuguaglianza.

Iniettare nel tessuto sociale il germe della pace che corrisponde – al di là di comportamenti spesso ingenui e incoerenti, al di là di ogni credo e cultura – al DNA delle nuove generazioni, aiutarlo ad affiorare e ad imporsi, è il grande compito dei cristiani e degli uomini di autentica buona volontà. Che non possono nemmeno scrollarsi dalle spalle la responsabilità anche nei confronti di quei milioni di giovani nei quali ingiustizia politica ed economica soffocano questo DNA respingendoli nell'odio, fonte di guerre come quella attuale e di inutili massacri. Ma abbiamo visto che, se ci si apre un varco anche nel cuore di questi giovani e si instaura il contatto, tanti di loro si mostrano atti a percorsi alternativi per raggiungere un nuovo assetto nel mondo e cancellare una volta per sempre dalla terra il termine guerra. Casi qua e là, piccoli segnali, ma ci sono. Ingenuità? Utopia? Quanto leggiamo nel presente articolo (1) è un germe, è di pochi, ma ci interpella. La parola utopia significa «ciò che non è in alcun luogo». Ma allora quanto già si vive in vari punti del mondo, anche nei più caldi, può ancora dirsi utopia?»

Pino Quartana


1)Si riferisce all'articolo di Paolo Lòriga "Più forte della pace", pubblicato nello stesso n. 4/1991 di "Città Nuova".

 

(Nella foto Ap, piccoli rifugiati siriani in un campo allestito in Libano)
 

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