Scuola, si torna ad investire. Finalmente

Gli obiettivi del Consiglio di Lisbona sono rimasti in gran parte disattesi nei Paesi dell’Unione. Lo certificano tutti i rapporti valutativi. La Commissione europea attribuisce la responsabilità alle scarse risorse investite nel settore. Il decreto legge varato dal Consiglio dei ministri costituisce una inversione di tendenza
Consiglio dei ministri

Un flash back. Era il marzo dell’anno 2000, e si svolgeva a Lisbona una riunione del Consiglio europeo che individuava una strategia riguardante l’intervento dell’Unione a favore dei sistemi di istruzione e formazione, nel più ampio contesto economico e sociale europeo. Venne fissato un traguardo ambizioso: far divenire l'Unione europea, entro il 2010, «l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica durevole accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale».

Il Consiglio di Lisbona, tenuto conto dei punti di forza e di quelli di debolezza dei sistemi d’istruzione europei, propose degli obiettivi da raggiungere nel decennio, fissando gli indicatori e i criteri di riferimento (benchmarking) per la misurazione dei progressi realizzati dai Paesi membri in ordine al raggiungimento dei traguardi prefissati e richiedendo, in proposito, un rapporto valutativo con cadenza biennale.

Nell’ottobre 2008 (a soli due anni dal fatidico 2010), veniva pubblicato il quarto rapporto. I risultati diffusi dal Progress Towards the Lisbon Objectives in Education and Training denunciavano sforzi ancora insufficienti da parte degli Stati membri e una notevole distanza dagli obiettivi individuati dalla strategia di Lisbona. Una amara conclusione, che il Commissario europeo per l’Educazione e la cultura dell’epoca, lo slovacco Ian Figel, attribuiva imperativamente alla necessità di investire maggiori risorse  sul capitale umano («The message to policy makers in the member States is clear: we need more efficient investment in our human capital»), perché la lentezza e i ritardi delle riforme nel settore dell’istruzione mettevano a repentaglio la capacità europea di far fronte alla concorrenza mondiale.

E il successivo rapporto, a conclusione del decennio, certificava le risultanze della medesima analisi valutativa. In altre parole: occorreva che i Paesi membri dell’Unione investissero molto di più nei settori dell’istruzione e della formazione.

Il Decreto scuola. Il 9 settembre scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un Decreto legge dal titolo “L’istruzione riparte” che, a detta del governo, punta a «garantire un miglior avvio del nuovo anno scolastico e accademico, ed anche a gettare le basi per la scuola e l’università del futuro, restituendo ai settori della formazione centralità e risorse».

Rimanendo con i piedi per terra e relativizzando l’enfasi dell’annuncio, registriamo tuttavia una buona notizia: si sceglie di investire un po’ di risorse in più nel sistema formativo del nostro Paese. Si tratta di 400 milioni di euro (in un triennio). Sufficienti? Pochi? Comunque una inversione di tendenza: meglio, molto meglio, che proseguire con i tagli degli ultimi anni. La copertura è stata individuata prevalentemente dalle entrate delle accise sugli alcoolici.

Gli ambiti d’intervento qualificanti. Ci permettiamo di individuarli in alcune direttrici. In primo luogo il contrasto del drop-out (lotta alla dispersione scolastica e all’evasione dell’obbligo): 15 milioni (3,6 per il 2013; 11,4 per il 2014). Era uno degli obiettivi prioritari del Consiglio di Lisbona.

Poi l’orientamento degli studenti della secondaria di secondo grado: 6,6 milioni (1,6 per il 2013 e 5 per il 2014). Fondamentale per favorire scelte di prosecuzione degli studi negli ambiti che possano indirizzare verso settori nei quali maggiore è l’opportunità occupazionale.

E ancora le assunzioni di personale: con la stabilizzazione di 27 mila insegnanti di sostegno e di personale ATA (dal 1° gennaio 2014) e un piano triennale per l'assunzione di 69 mila insegnanti delle varie discipline.

Il decreto prevede inoltre misure per il welfare: 15 milioni di euro nel 2014 «per favorire il raggiungimento dei più alti livelli negli studi ed il pieno successo formativo» degli studenti delle medie e delle superiori, con contributi, ad esempio, per alleggerire la spesa delle famiglie per pasti e trasporti; e 8 milioni di euro (2,7 per il 2013 e 5,3 per il 2014) per finanziare l'acquisto di libri di testo da parte delle scuole da destinare in comodato d’uso agli alunni in situazioni economiche disagiate.

Consistente anche il fondo stanziato nel 2014 per le borse di studio degli studenti universitari (100 milioni di euro) e per gli studenti delle istituzioni dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (6 milioni).  

E da ultimo (non per ordine d’importanza), l’assunzione da parte dello Stato degli oneri di ammortamento per i mutui (trentennali e a tasso agevolato) che le Regioni potranno contrarre con la Banca europea per gli investimenti, la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, la Cassa depositi e prestiti, per far fronte alle carenze strutturali delle scuole o per la costruzione di nuovi edifici.

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