Rugby, ora o mai più

Siamo pronti per vincere. Parola di Marcello Cuttitta, campione della palla ovale.
Marcello Cuttitta

Storia, tradizione, orgoglio. Terra, pioggia, fango. Sfida, lotta, battaglia. Lealtà, correttezza, sportività. In una parola: rugby. Dodici termini, un solo sport. Dodici, come le partecipazioni dell’Italia al Sei Nazioni, una delle competizioni sportive più antiche al mondo. Nata nel 1883 col nome di Home Championship, divenuta nel 1910 Cinque Nazioni, passata al nome attuale nel 2000. Originariamente riservata solo a Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia, poi apertasi alla Francia, quindi all’Italia. Merito di un movimento rugbistico che nel nostro Paese ha saputo farsi largo raggiungendo livelli di popolarità prima impensabili. Eppure, l’impressione è che manchi ancora qualcosa. «La celebrità, gli spot, le interviste su giornali e tv non bastano più – avverte Marcello Cuttitta –. Serve un ulteriore salto di qualità».

 

Cuttitta è uno cresciuto a pane e rugby, non fosse altro perché ha conosciuto questa disciplina in un Paese nel quale la palla ovale è religione o quasi. Quando un bambino cresce in Sudafrica, infatti, placcaggi, touche e mete diventano inevitabilmente parte integrante della giornata.

Così è stato per Marcello (stesso discorso per il gemello Massimo e per il fratello maggiore Michele), che se in Sudafrica era uno fra tanti, in Italia è diventato un campione. Recordman di mete con la maglia della Nazionale (25), è stato fra gli artefici del salto di qualità compiuto dal nostro rugby, che ha consentito alla palla ovale azzurra di conquistare i primi titoli sui giornali. Ora Marcello è allenatore e anima dell’Amatori Milano, il più titolato club italiano (diciotto gli scudetti in bacheca), da anni però lontano dai vertici, nonché spettatore più che interessato del Sei Nazioni ormai alle porte.

«Ora o mai più – esclama –. La nostra Nazionale è matura abbastanza da poter vincere il torneo. I vari Parisse, Bergamasco, Canale devono convincersi del fatto che possono farcela, perché la loro esperienza ad alto livello glielo consente. È una delle ultime occasioni: dopo potrebbe essere troppo tardi. Certo è che il salto di qualità va compiuto prima di tutto nella testa, e poi ci vuole più coraggio in campo».

 

Insomma, nell’anno del Mondiale, l’Italia è chiamata a un ulteriore salto di qualità, «perché – punzecchia Cuttitta – i ragazzi sono lì per giocare, e non per la pubblicità su un giornale». Impossibile poi non affrontare l’argomento ct, col sudafricano Nick Mallett che molto probabilmente lascerà la panchina al termine del Sei Nazioni. «È un grande allenatore – sostiene l’ex azzurro –, ma forse non ha avuto la possibilità di lavorare come desiderava. Ad ogni modo, il futuro della nostra Nazionale non può prescindere da quello dei nostri club: finché le squadre italiane saranno piene di giocatori stranieri, sarà dura». Fallito, dunque, l’esperimento della Celtic League? «In un certo senso sì – risponde Cuttitta –. Inutile andare in Irlanda, Galles e Scozia se le nostre due franchigie (che fanno capo a Treviso e Viadana, ndr) presentano nella formazione titolare ben dieci stranieri». Eppure, secondo l’ex azzurro, il boom del rugby in Italia non si è esaurito: «Siamo ancora in fase di crescita di pubblico, d’interesse, d’immagine. La gente si sta avvicinando al nostro sport, ma senza risultati positivi della nostra Nazionale, tutta questa popolarità prima o poi svanirà». Nel 2011 le prime risposte. Sei Nazioni e Coppa del Mondo: Italia, ora o mai più.

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