Ripartire dalla… Fortezza da Basso

Il convegno ecclesiale vive la sua terza giornata. Gli oltre duemila delegati impegnati in lavori di gruppo dove ciascuno può portare un contributo di vita e di pensiero
firenze

Arrivano felici alla Fortezza da Basso i partecipanti al convegno ecclesiale per il terzo giorno di lavori, desiderosi di concretizzare. Alle spalle una lunga giornata trascorsa in compagnia di papa Francesco, negli occhi la gioia, nel cuore la pienezza di un momento che non pochi continuano a definire storico per la Chiesa in Italia. Sono 2145, provenienti da 118 diocesi, associazioni, movimenti. I laici costituiscono oltre il 50 per cento e il primato per fasce d’età spetta a quelli che hanno fra i 36 e i 59 anni, seguiti da quanti rientrano fra i 60 e i 74 anni. In terza fascia i più giovani, fra i 18 e i 35 anni. La domanda aleggia nell’aria: saprà il convegno proseguire sulla spinta impressa dagli interventi di papa Francesco? Si riuscirà a passare da «un’epoca di cambiamenti a un cambiamento d’epoca», come recitava un passaggio dell’intervento di Bergoglio in cattedrale il giorno precedente? La fiducia sembra prevalere sullo scetticismo, che, diciamolo pure, non è mancato nella fase preparatoria e fino all’arrivo a Firenze. Forte l’adesione dei presenti alla spinta innovativa del papa – basti pensare ai 19 applausi che hanno accompagnato il suo intervento – e, soprattutto, molto più diffusa di quanto si pensi la pratica di una chiesa come quella disegnata da Francesco, anche se da tante parti ce n’è da fare.

La seconda parte della mattinata oggi e domani e l’intero pomeriggio di oggi sono dedicati a lavori di gruppo sulle “cinque parole”: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Saranno l’occasione per mettere in comune riflessioni e buone pratiche, con uno scopo ben preciso, come spiega il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino: «Indicare obiettivi concreti, veri, belli». Dunque spazio alla responsabilità personale, al protagonismo, all’impegno di ciascuno per far sì che questo convegno segni davvero una tappa feconda per la Chiesa in Italia. All’esperienza del Sinodo, appena concluso, si fa spesso riferimento come metodo di lavoro, nel senso dell’umile ascolto, dell’accoglienza dell’idea dell’altro, del dialogo costruttivo. L’ultimo giorno, in plenaria, la sintesi di questi lavori.

Due le relazioni introduttive stamani: Mauro Magatti, ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e mons. Giuseppe Lorizio, ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Lateranense.  

Il sociologo

A che titolo ci interroghiamo sul nuovo umanesimo? Quale contributo potranno dare al mondo di oggi il nostro Paese e la nostra cultura? E ancora, come si superano  disorientamento, disumanizzazione, individualismo, astrazione,  logica dello scarto  dell’efficienza?  Parte da queste domande Magatti per arrivare a cercare qualche via d’uscita, fra cui la «logica della concretezza», messa in atto nel quotidiano «nelle imprese che sperimentano nuove soluzioni intelligenti, coinvolgenti, sostenibili; nelle scuole capaci di integrare chi fa più fatica; nelle amministrazioni pubbliche che si oppongono alla corruzione; nelle famiglie che continuano ad essere grembo della vita; nel lavoro di cura e ricucitura nelle periferie, con i migranti, nelle carceri, negli ospedali, con i giovani; nei giovani che hanno il coraggio di essere in prima linea nel creare un mondo di tolleranza tra le culture e le religioni; nelle parrocchie che sanno essere comunità vive… ». Viceversa, analizza Magatti, «un’economia astratta è un’economia puramente finanziaria, dimentica del fatto che il suo stesso futuro si fonda sul lavoro, l'educazione, lo sviluppo sociale. Una politica astratta è quella che riduce i cittadini a elettori da cui estrarre un consenso, dimenticandosi di essere al servizio della comunità. Soprattutto di chi ne ha più bisogno. Una città astratta è quella pensata per le automobili, i telefonini, gli uffici, e non per le persone, le famiglie, gli anziani, i bambini, i poveri. Dove non c'è spazio per la natura». C’è una chiave per l’Italia: la via relazionale, che, secondo il sociologo è il nostro tratto distintivo, quello che può imprimere il dinamismo necessario ad un nuovo umanesimo.

 

Il teologo

«Non siamo qui come turisti – ricorda mons. Lorizio -, bensì per interrogarci a nome delle nostre comunità ecclesiali sull’oggi del Vangelo e della storia, per riscoprire le radici anche dell’umanesimo storico, ma soprattutto del ‘nuovo’ umanesimo e rinvenirle nella fede in Cristo Gesù, che ci unisce senza omologarci e ci interpella senza opprimerci».

Il nuovo umanesimo che si genera dalla fede è «l’umanesimo della nuova alleanza, realizzatasi in Cristo», che «va vissuta e attualizzata nelle alleanze, spesso infrante o compromesse», della vita di ciascuno e della storia di tutti: tra uomo e natura come tra uomo e donna, spiega Lorizio; tra generazioni come tra popoli; tra religioni come tra cittadino e istituzioni.

Sono alleanze che – ha concluso il teologo – «ciascuno di noi e le nostre comunità, con sporgenza verso la società civile,  è chiamato a porre in atto, custodendo legami e vincoli autentici e chiedendo e offrendo misericordia, perché avvenga ai diversi livelli una vera riconciliazione sul piano individuale e su quello comunitario».

 

 

 

 

 

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons