“Redditio Symboli”, quando arte e fede vanno di pari passo

Una mostra di arte sacra a Potenza, perché in ogni tempo essa ha reso possibile la lettura e l’interiorizzazione della fede, per chi era lontano dall’approccio accademico della teologia, sostiene il curatore don Vito Telesca
Anno della fede

Siamo ormai entrati a pieno titolo nell’Anno della fede, che si chiuderà il prossimo novembre e sono tante le iniziative che si stanno svolgendo ovunque per celebrarlo. “Redditio Symboli”, la mostra di pittura e scultura sacra di artisti contemporanei che è stata inaugurata a Potenza nei giorni scorsi, è una di queste. Il curatore, don Vito Telesca, è tra i promotori di questa esposizione che raccoglie molte delle opere della sua personale quadreria. Gli artisti partecipanti sono soprattutto potentini, ma ce ne sono anche alcuni provenienti da altre parti d’Italia oltre che stranieri, come ad esempio l’americano Carrol. Il motivo ispiratore è il profondo legame da sempre esistente tra arte e fede. Parafrasando monsignor Ravasi, l’artista è la persona più vicina al teologo perché entrambi sono in grado di sondare l’invisibile. La parola stessa “redditio” riguarda la restituzione del Credo in una professione di fede, di ciò che si è ricevuto attraverso il momento preliminare della “traditio”, consegna appunto. Di questo e di altro abbiamo riflettuto con don Vito Telesca, che ci ha fornito anche il suo punto di vista di esperto d’arte e di parroco.

In che modo iniziative artistiche di questo genere possono avvicinare le persone alla fede?
«Ognuno di noi è legato alla fede mediante una oggettività e una soggettività. L’arte, dal canto suo, rende capaci di avvicinarsi alla fede quasi inconsapevolmente, superando ogni incredulità, ogni inconsistenza umana. L’arte soprattutto in questo momento storico, è chiamata a svolgere una funzione catechetica ed addirittura ecumenica».

Quali sono le urgenze di cui la Chiesa deve farsi carico?
«Le urgenze maggiori sono all’interno di ognuno, la conversione e la rievangelizzazione. All’esterno invece è richiesta una grande attenzione per le povertà più varie, da quelle materiali di chi sperimenta la mancanza di risorse, a quelle spirituali dei giovani o di quanti hanno smarrito il loro cammino. In tutti questi casi, la chiesa dovrebbe sostenere le persone e metterle nella condizione di avere una vita migliore».

Quali pensa possano essere i frutti di questo Anno sia a livello globale che locale?
«Ad entrambi i livelli vedo dei capovolgimenti inaspettati. Ad esempio nessuno si sarebbe aspettato il riaccendersi dei conflitti nell’Egitto del dopo Mubarak o ancora la complessità della situazione politica italiana. Siamo sempre costretti a rimodellarci sulla base dei cambiamenti politico-sociali. Non sono in grado di dire che cosa potrà cambiare, ma se accogliamo gli inviti del papa espressi nel “Motu proprio” in questo Anno della fede sicuramente qualcosa potrà accadere».

Qual è la risposta locale davanti a questo Anno della fede?
«Ci sono davvero tante proposte di valore. Ad esempio, il fatto che il vescovo vada nelle parrocchie per rinnovare la professione della fede insieme alla lampada della luce, il sinodo dei giovani, questa mostra… Si tratta di tanti incontri che si moltiplicano, ma che andrebbero coordinati maggiormente. In ogni caso, al di là di difficoltà oggettive e contingenti, non dobbiamo lasciarci sfuggire opportunità di questo genere, per la loro duplice valenza culturale e religiosa».

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