Quello che si difinisce inferno

“Vi sottopongo queste mie riflessioni sull’oltre-vita e specificatamente su quello che si definisce “inferno”… Sono convinto che possa interpretarsi come “annullamento” definitivo di chi fu ostinato nel male e impenitente fino all’ultimo… Il suo destino non dovrebbe essere altro che quello di scomparire definitivamente essendosi “annullato” spiritualmente”. Gino Collenea – Isernia È certamente importante questo suo riflettere sull’oltre questa vita terrena e in particolare sull’inferno. Interessarci dell’aldilà è interessarci dell’affare più importante della nostra vita. Che ci debba essere la possibilità dell’inferno è un’esigenza dell’amore: perché uno possa amare, dire di sì, deve essere libero, deve avere la possibilità di dire di no. Che poi qualcuno sia veramente andato all’inferno non lo possiamo dire. Il grande teologo Hans Urs von Balthasar ricorda che “la chiesa, che ha canonizzato tanti individui, non si è mai pronunciata sulla dannazione di alcuno. Neppure su quella di Giuda”. Suggestiva poi, nella domanda, quella sua idea di “annullamento”. Tuttavia, che non si possa parlare di “annientamento” per sempre, ce lo dice il Vangelo, ad esempio in Mt 25,31-46, dove descrivendo il giudizio universale parla della possibilità di un “supplizio eterno” e di “vita eterna” e in altri passi, come in Mc 9,48, di “sofferenza eterna”. Dio, che è Amore, ci ha creati a sua immagine e somiglianza. E lui continua sempre ad amare le sue creature e non le distrugge mai, ma rispetta la loro libertà. E questo anche nella tremenda eventualità che uno possa andare all’inferno, dove il più terribile tormento è la consapevolezza, come dice Chiara Lubich “di aver dovuto fare una cosa sola: amare, e non potrà più amare”. Possiamo dire che questa realtà, in un certo modo, la si sperimenta già da questa vita: nella misura in cui ci chiudiamo nel nostro egoismo, crescono in noi solitudine, angoscia, depressione, morte (al punto tale che uno può arrivare a considerare gli altri, secondo la nota espressione di Sartre,”inferno”). Mentre l’amore evangelico vissuto ci fa assaporare già da ora un po’ della realtà del paradiso. Fin tanto che siamo in viaggio su questa terra, nessuno di noi, per quanto sbagliata possa essere stata la sua vita, deve disperare di salvarsi. Un giorno Gesù, dopo aver detto “Com’è difficile entrare nel regno di Dio!”, si sente domandare dai suoi discepoli sbigottiti: “E chi mai si può salvare?”. La sua risposta, come sappiamo, è stata: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio. Perché tutto è possibile presso Dio” (Mc 10,27). Era una risposta coerente con il Dio che ci aveva presentato Gesù:Amore onnipotente. Una conferma molto evidente ce la offre il malfattore che muore accanto a Gesù sulla croce, quando, aprendosi all’amore, si sente dire proprio all’ultimo momento della sua vita: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23,43). Una risposta più ampia e attinente alla sua domanda può trovarla ad es. nel Catechismo della Chiesa cattolica, il quale ne parla all’interno dell’art. 12 “Credo la vita eterna” nei nn. 1033-1037. Sullo stesso tema è molto utile anche il Catechismo degli adulti della Conferenza episcopale italiana (Cei) ai nn. 1218-1224. Pure interessante al riguardo, un articolo di H. Blaumeiser nella rivista Nuova Umanità (1997/5), da cui è tratta la citazione di Chiara Lubich.

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