Quella stretta di mano a L’Avana

Come interpretare la visita del presidente degli Stati Uniti all’isola caraibica? Le letture possibili sono molte, nel contesto di un mondo che è cambiato in questi anni
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama col presidente cubano Raul Castro a L'avana

Pare che sia una leggenda urbana la predizione che avrebbe formulato Fidel Castro molti anni or sono: «Gli Stati Uniti verranno a dialogare con noi quando avranno un presidente nero e quando sarà papa un latinoamericano».

 

Sia esistita o no la predizione, il fatto è che un presidente nero ha visitato Cuba in questi giorni, grazie anche al contributo diplomatico di papa Bergoglio, un latinoamericano. Vuol dire che siamo di fronte a un mondo che, anche se non sempre in meglio, è cambiato molto in questi anni. «Sono venuto qui a seppellire le ultime vestigia della Guerra fredda nelle Americhe», ha affermato nel suo discorso il presidente Barack Obama. Effettivamente, il mondo della Guerra fredda è scomparso. Ma non sono scomparsi gli steccati che occorre superare.

 

Il viaggio del presidente Obama racchiude vari significati e varie letture. Il capo di Stato della principale potenza globale sta cercando di normalizzare i rapporti con i principali avversari del liberismo statunitense, che ha preteso di imporsi al mondo. E spesso ci è riuscito. È in corso la normalizzazione dei rapporti con l’Iran e con il regime cubano, ad esempio, tra le principali voci fuori dal coro globale. È in corso anche una normalizzazione dei rapporti deteriorati con l’America latina. L’amicizia con Cuba è in tal senso un elemento chiave.

 

Presumibilmente Obama sta lanciando da Cuba anche un messaggio di politica interna, per cercare di smontare la retorica dei suoi avversari repubblicani, disposti a vedere nemici dietro ogni angolo e ad attaccare il sistema di valori statunitense. Non è detto che la risposta a reali o supposti avversari debba essere una prova di forza.

 

E, conteporaneamente, sta cercando anche di dare la spallata finale all’apertura democratica cubana, migliorando lo scambio commerciale con un'economia stanca di tanto accentramento delle risorse economiche da parte dello Stato.

 

A suo tempo, la perestrojka e la glasnost furono le riforme che diedero il colpo definitivo a un collettivismo asfittico che crollò insieme al Muro di Berlino. È probabile che, anche se meno traumaticamente, l’apertura dell’isola al villaggio globale ottenga risultati similari.

 

Inevitabile il riferimento ai diritti umani. Cuba ha molto da fare per attivare l’esercizio delle libertà democratiche. Nella conferenza stampa congiunta, Raúl Castro ha preteso di minimizzare la questione dei prigionieri politici dell’isola quando alla giornalista che gli chiedeva di riconoscerne l’esistenza ha risposto che gliene fornisse una lista. La boutade ha avuto un effetto boomerang, perché la lista in poche ore è stata redatta e pubblicata. Fortunato invece il presidente Obama, al quale la Cnn non ha chiesto chiarimenti sulla situazione dei prigionieri di Guantanamo, reclusi senza un capo d’accusa, senza diritto alla difesa, senza ricadere sotto la giurisdizione militare e fuori dal territorio statunitense, in un vero e proprio limbo giuridico. Non avrebbe potuto articolare una risposta coerente. Così come non avrebbe potuto spiegare le ragioni di un'alleanza così fedele con l’Arabia Saudita, tra i primi posti nel mondo nella violazione dei diritti umani.

 

 

Il discorso sui diritti umani non ammette doppi standard. O si rispettano sempre o si perde l’autorità morale per difenderli. E questa non l’hanno né Cuba né gli Usa.

 

 

Un altro elemento che indica che siamo in un mondo completamente cambiato lo dice, a mio avviso, che sebbene nessuno dei due presidenti lo ammetta, in realtà la stretta di mano a L'Avana ha messo insieme i rappresentanti di due sistemi fallimentari. La caduta del Muro di Berlino fu interpretata come un trionfo del capitalismo. In realtà, se l’economia pianificata del socialismo ha dimostrato il suo fallimento perché incapace di efficienza e sviluppo, se non in alcuni contatissimi settori, il capitalismo statunitense è doppiamente fallimentare: ha concentrato un terzo della ricchezza nell’1 per cento più ricco del Paese, convive con 40 milioni di poveri ed è insostenibile dal punto di vista ecologico, al punto tale che il mondo non potrebbe sopportare due Stati Uniti.

 

Quella stretta di mano tra due uomini che nonostante tutto hanno dato inizio a un processo positivo sulla base di una grande fiducia l’uno nell’altro assume dunque altri significati: restituisce la politica all’ambito dal quale non dovrebbe mai uscire, quello del dialogo tra sistemi diversi. Ci riporta alla grande sfida mondiale che oggi è quella di avanzare verso un sistema di consumo e di produzione sostenibile sul piano ambientale e sociale. L’unico modo di rispondere a questa sfida è insieme. Gli steccati sono una distrazione da questo obiettivo. 

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